di Aldo Truncè*
Massimo Burgazzi, Ezio Audisio, Gaetano Bandieramonte, Fabio Ferlito, Salvatore Manca, Enrico Tuccillo.
Massimo Burgazzi, Ezio Audisio, Gaetano Bandieramonte, Fabio Ferlito, Salvatore Manca, Enrico Tuccillo.
Sono solo alcuni, di una lista interminabile di colleghi avvocati che non ci sono più.
Non sono solo nomi, ma volti, corpi, toghe, indossate fino a pochi attimi prima del contagio.
Gli avvocati sono stati i primi a cadere, nei mesi di febbraio e marzo quando la pandemia già imperversava senza che ce ne potessimo rendere conto.
In quei primi giorni del post Codogno, nessuno si rendeva ancora bene conto di cosa stesse succedendo.
I medici affrontavano il virus in corsia a mani nude, senza dispositivi di sicurezza, noi avvocati continuavamo a celebrare le udienze intimoriti ed incerti sul da farsi, senza mascherine, nelle aule ancora molto piene di colleghi, testimoni, parti processuali.
In quei giorni certamente il virus si è fatto strada insidiosamente.
Ai primi di marzo molte Camere Penali avevano già chiesto la sospensione di ogni attività processuale, ma il vero fermo sarebbe arrivato solo con il decreto dell’8 marzo 2020.
La verità è, però, che i penalisti non si sono mai fermati.
Le attività garantite non sono state poche e le abbiamo affrontate con perplessità, sperimentando l’indigesta udienza da remoto, la cui solo idea ci terrorizzava.
Ci siamo avventurati in processi “a banda larga” con lo spirito degli avventurieri, per poi scoprire, a distanza di mesi, quanto sia diventata noiosa questa routine dell’udienza da remoto, senza percepire quanto l’avventura possa sì essere pericolosa, ma l’abitudine può addirittura diventare letale.
Ma si sa, gli avvocati fanno di necessità virtù, e nel mezzo di questa seconda ondata ci siamo attrezzati per contribuire a trasformare in normalità quella modalità di partecipazione a distanza al procedimento, che un’estate fa ci scandalizzava.
Ma si è andati anche oltre, e nei giudizi di secondo grado e in cassazione sono stati tagliati i cavi della banda larga, e al posto dell’avvocato da remoto si è preferito l’avvocato fantasma, che può comparire solo previa prenotazione con congruo anticipo.
La regola delle giurisdizioni superiori è quindi quella di un avvocato non più necessario, o meglio dell’avvocato su prenotazione, che strappa il biglietto, come in salumeria.
E poco importa che questa regola sia dettata da un decreto avente forza di legge per l’intera sua efficacia, perché alcune disposizioni dettate sull’onda dell’emergenza sono già diventate prassi acquisite.
Oramai il protocollo è collaudato: il decreto imbastisce il tessuto delle nuove modalità procedimentali, le circolari ministeriali limano e perfezionano l’imbastitura e gli Uffici Giudiziari territoriali confezionano il vestito finale, che vede l’avvocato sempre più lontano dall’esercizio della vera ed efficace funzione difensiva.
Ma l’avvocato è fatto di carne e sangue, che pulsa sotto quella toga che ognuno di noi continua a desiderare d’indossare quotidianamente in aula, nonostante i decreti, nonostante i protocolli, nonostante il virus.
È indubbio che le aule di giustizia possano costituire un ambiente di diffusione del virus senza i dovuti accorgimenti, che pure sono stati posti in essere, ma è proprio quell’aula “il male necessario” in cui avvocati, magistrati, cancellieri ed ausiliari possono eroicamente continuare a rendere servizio alla giustizia.
Non paladini, ma campioni di normalità, di cui troppo poco si è parlato, e a cui va tributato un doveroso riconoscimento, in memoria di quelle toghe che troppo presto ci hanno lasciato a causa del virus.
Sacrifici che non dovranno andare perduti, quando la compressione delle libertà difensive sarà solo un lontano ricordo.
*presidente Camera Penale Crotone