Maradona e Platini? Grandissimi. Palanca, però, è stato un’altra cosa

Palanca o Maradona? Palanca o Platini? Per chi è di Catanzaro il dilemma non si pone. Ognuno ha il suo eroe nascosto. Palanca è stato. Punto
palanca

di Felice Foresta – Una legittima (ognuno ha diritto a esprimere la propria opinione, piaccia oppure o no) e, a parer mio, fondata considerazione di Massimo Mauro (uno che il calcio lo ha masticato ad altissimi livelli), ha scatenato una ridda di voci. Palanca o Maradona? Palanca o Platini? Per chi è di Catanzaro il dilemma non si pone. Ognuno ha il suo eroe nascosto. Senza bisogno di scomodare oracoli o sofisti. Palanca è stato. Punto. Perché c’era quando doveva esserci. Nelle domeniche provinciali di una città di provincia. Sui muri scrostati di una regione sanguinante e capace, però, raccogliersi attorno a una bandierina sostenuta dal vento. Nel sorriso casto di un sinistro velenoso e vellutato. Nei ricordi che sono il modo di raccontare il passato. E così. Tra Ulisse e Senofonte. Catullo e Cicerone. Via del campo e Bocca di rosa. Le paste la domenica mattina, le kickers nuove, e una 127 sport. Un’interrogazione andata male, lei che neanche ti calcola e domani c’è compito in classe. Tua madre che sbotta, un amico che ti volta le spalle e quel giubbotto no, che costa troppo.

L’eroe buono in una fiaba di provincia

L’eroe buono in una fiaba di provincia

Ma poi, la domenica, era il tuo tempo, il nostro tempo. Il tempo dei grandi e dei bambini. Non c’era tempo per pensare ad altro. Piccolo, mite, impalpabile ma che ci facevi sentire odiati, temuti, invincibili. Il cuore in gola prima di una punizione, pronti a scoppiare quando il veleno decidevi di sputarlo dalla bandierina del calcio d’angolo. Il Catanzaro, una fiaba di provincia e tu il suo eroe buono. Mai una parola fuori posto, mai uno screzio, solo uno sguardo serioso e spesso triste. Ma quando sorridevi e ci facevi sorridere dopo un gol, sei stato il nostro re, il nostro guerriero, il nostro angelo custode. Sei stato un numero, una maglia, un esempio della mia infanzia e dell’infanzia anche di chi non aveva più quell’età.

“O Rey”  e il calcio che non c’è più

Non c’è più il tuo calcio. È frase fatta, ma è così. E soprattutto, purtroppo, non ci sarà più un Massimo Palanca per chi ti ha amato e per chi non c’è riuscito. No, uno come te non poteva essere odiato neanche a… Roma. Grazie O Rey, Piedino. Grazie piccolo grande bomber. I miei figli non ti hanno mai visto giocare, ma ti amano da sempre. E quella foto, ai giardini, è stata bella come un gol. Profumata come il pane fresco e l’erba appena tagliata. L’ennesima perla che ci hai regalato. Grazie travet dei nostri desideri. Impiegato accomodato sul divano delle nostre chimere. Nel confessionale di un peccato improprio e infante. Perché il campo di calcio con te stato molto di più che un rettangolo verde. E’ stato il laboratorio dei nostri sogni, la dispensa della nostra innocua e sana felicità. E, forse, anche un po’ santa.

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