di Giovanna Fronte* – In riferimento alla proposta di riforma della Giustizia Italiana meglio conosciuta come Riforma Cartabia, esprimo il mio totale dissenso alla sua approvazione, nonostante le modifiche apportate e nonostante il raggiungimento di un “compromesso” (già non mi piace il termine) tra le diverse forze politiche circa i processi di mafia. Innanzitutto, non si può pensare di mettere mano al processo penale italiano sotto la spinta di pseudorichieste avanzate dall’Europa e sotto la “minaccia” di perdere i fondi europei. Il processo penale è lo strumento, l’unico, che deve condurre all’accertamento della verità di fatti ritenuti lesivi di diritti fondamentali, alla tutela della vittima e alla condanna del reo. In quanto tale è uno strumento molto delicato, che deve essere usato con cura onde evitare che una società diventi altamente criminogena. Se è vero che nel corso del dibattito politico si è posto il problema di “salvare” i processi di mafia – e pare che su questo punto sia stato raggiunto il compromesso – , è pur vero che in nessuna considerazione sono stati tenuti i diritti, le aspettative, la domanda di giustizia delle vittime dei reati e delle persone offese e/o danneggiate. In poche parole la riforma risponde allo slogan “chiudiamo i processi perché ce lo chiede l’Europa” senza tenere conto della funzione del processo penale.
Le alternative alla Riforma Cartabia
Le alternative alla Riforma Cartabia
E’ indubbio che il sistema giustizia va riformato, ma non è questa la modalità più corretta. Si poteva intervenire ad esempio sull’abolizione dell’udienza preliminare che ha fallito la sua funzione di udienza filtro e ha dilatato notevolmente i tempi di celebrazione del processo. Si poteva intervenire sulle contravvenzioni molte delle quali possono essere gestite amministrativamente dalle prefetture (si pensi alla guida in stato di ebbrezza o alla guida senza patente). Si poteva ampliare la possibilità per alcuni reati minori di ricorrere direttamente all’affidamento in prova ovvero ad ampliare i riti alternativi. Si poteva fare tanto, tanto di più e meglio. Sicuramente sul fronte dell’efficienza del sistema giustizia si sarebbe dovuto, principalmente, mettere mano all’apparato burocratico/amministrativo, al sistema delle notifiche, all’applicazione dei magistrati, al potenziamento della magistratura e, comunque, all’avvio e alla realizzazione del processo telematico e questo non solo nel penale, ma anche in quello civile di cui il dibattito politico si è disinteressato.
Reati sentinella di pressioni mafiose
Con questa riforma, da un lato le vittime troveranno lo sbarramento della improcedibilità del processo penale trascorsi i termini per l’appello (da avvocato posso già anticipare che, al di là della fondatezza o meno dell’appello, esso è comunque da proporsi) e per la Cassazione e dall’altro si troveranno ad affrontare lunghi quanto dispendiosi processi civili. Una domanda sorge già spontanea: conviene denunciare? Soprattutto se la denuncia riguarda reati sentinella di pressioni mafiose: si pensi all’usura, alle estorsioni, alle occupazioni abusive, ai danneggiamenti, alle diffamazioni e allo stalking. Così come vanificate appaiono tutte le recenti modifiche apportate al codice penale e volgarmente definite “legge femminicidio” che sono state reclamizzate come una conquista del nostro sistema penale. Ritengo, inoltre, che una grave insidia si annida nella disposizione che prevede il conferimento del potere al Parlamento (al potere politico per intenderci) di stabilire i criteri di priorità della scelta di trattazione dei processi per l’esercizio dell’azione penale in aperta violazione dei principi costituzionali della obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale e della divisione dei poteri. Esprimo quindi tutta la mia profonda delusione dinanzi ad una azione politica cieca che sta svendendo i diritti degli italiani a una Europa che , a livello normativo penale, non riconosce neppure la nostra legislazione antimafia”.