di Giuseppe Selvino – La sera magari progetti il domani, il futuro per la tua famiglia. Progetti che al mattino dopo ti crollano addosso come un grosso macigno. Sono circa le 5.30, senti suonare il campanello. Chi sarà mai? Avrà bisogno di qualcosa il vicino di casa è l’unica cosa che riesco a immaginare. Magari sarebbe stato questo. Nulla di tutto ciò, purtroppo. Apro la porta e resto stupefatto: “Buongiorno, Carabinieri deve seguirci in caserma” mi dicono. “In caserma? E’ successo qualcosa a qualche mio parente?” rispondo io. “No si vesta in fretta e venga con noi”. Durante il tragitto chiedo ancora: “Ma si può sapere cosa sta succedendo, che cosa ho fatto, lei lo dovrebbe sapere benissimo”. Nessuna risposta mentre lungo la strada non riuscivo a raccapezzarmi sul motivo di tutto quello che stava accadendo.
Un giorno in caserma
Un giorno in caserma
Giunti alla caserma di Petilia Policastro mi fanno entrare in una stanza: generalità, impronte digitali, foto segnaletiche e altro. Poi mi fanno accomodare su una sedia mentre io, incredulo, non riesco a capire cosa sta succedendo. Dopo un po’ arriva un carabiniere e mi porta tre faldoni di documenti con più di duemila pagine: “Leggi un po’ qua – mi dicono – c’è tutto quello che ti riguarda”. Per fortuna sfogliando a casaccio trovo una parte che secondo loro interessava a me e per me era pura fantascienza. Quindi ritorna il carabiniere e mi chiede: “Allora che mi dici?”. Mi sono un po’ tranquillizzato perché io con queste accuse nulla c’entro. Mente ero lì che aspettavo a un certo punto mi era passato persino il malumore e ho pensato: “Questo è un sogno, adesso chiudo gli occhi e mi sveglio nel mio letto”. Purtroppo riaprendoli e chiudendoli non cambiava nulla: ero sempre lì, in questa caserma, incredulo e sempre più impaurito.
La mia casa, la mia prigione
Finalmente dopo un po’ di tempo mi riportano a casa. Giunti a destinazione mi fanno delle raccomandazioni: “Non uscire”. Dal primo all’ultimo i Carabinieri mostrano gentilezza ma per cinque giorni non posso parlare neanche con il mio legale. Non posso ricevere alcuno, tranne un parente per il fabbisogno mio e di mia moglie. Iniziarono così i lunghi venti giorni di prigione. Anche se sei a casa tua, sei comunque in prigione soggetto a controlli a tutte le ore. Le giornate iniziano guardando il soffitto e i cattivi pensieri si accavallano fino a sfociare in depressione insieme con ansia e panico che tuttora sto cercando di curare. Cosa dire? Sono esperienze che non auguro al peggiore nemico. Sperando che accadano sempre meno. C’è un detto che dice che le esperienze cambiano l’uomo e io sono cambiato in peggio: di sicuro come stato di salute che già prima dell’arresto non era al top. Ora se il diavolo non ci metterà la coda dovrebbe essere tutto finito. Grazie ai miei tre “angeli custodi” Marialba, Vincenzo e al mio avvocato Eugenio Felice Perrone.
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