Petrolmafie, il pentito Megna e le ‘mangiate’ di ‘ndrangheta con Luigi Mancuso: “La sua parola era legge”

La prima deposizione in un processo del nuovo collaboratore di giustizia nipote del boss Pantaleone Mancuso, detto Luni

“Certo che conosco Luigi Mancuso, l’ho conosciuto dopo qualche anno che è uscito dal carcere, prima non lo conoscevo perché quando ci hanno arrestati ero piccolo. Non ricordo l’anno preciso, ci siamo incontrati più di una volta, è venuto anche sotto casa mia”. Aldi là dei verbali di interrogatorio, depositati nel corso del maxi processo Rinascita Scott, il neo collaboratore di giustizia Pasquale Alessandro Megna, il nipote del boss Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, 38 anni di Nicotera Marina è la prima volta che depone in un’aula di Tribunale in videoconferenza dalla sua località protetta e lo fa nel corso del processo dibattimentale Petrolmafie che si sta tenendo nell’aula bunker di Lamezia Terme. Sollecitato dal pm della Dda di Catanzaro Andrea Giuseppe Buzzelli, riferisce davanti ai giudici del Tribunale collegiale presieduto da Gianfranco Grillone, a latere Laerte Conti e Alessandro Maccarrone di averlo visto per la prima volta quando è andato “a prenderlo col la jeep del padre in una campagna e c’era anche Luni l’Ingegnere”.

“Nessuno poteva dirgli di no”

“Nessuno poteva dirgli di no”

All’epoca dei fatti, si parla del 2015-2016, entrambi erano ricercati. “Non mi ricordo chi mi ha mandato l’imbasciata di andarli a prendere, all’epoca avevo trenta anni, mio padre sapeva che andavo a prendere due latitanti”. Il pubblico ministero interroga il pentito sulla figura del boss Luigi Mancuso: “quando parlava zio Luigi era legge, nessuno poteva dirgli di no per lo spessore criminale, per il carisma. Chi parlava con zio Luigi ha sistemato tante cose che altri non avevano sistemato. La parola sua contava, lui è il più forte, il più grande della famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso”.

“Il summit a Joppolo” e la mangiata ‘votata’ a tarantella

Il collaboratore di giustizia si sofferma su quelle mangiate che spesso si traducevano in summit di mafia con altri appartenenti alla ‘ndrangheta. “Ce n’è stata uno a Joppolo, c’erano Luigi Mancuso, il suo braccio destro Pasquale Gallone e il dentista Agostino Redi e mi rimase impressa quella mangiata tra famiglie perché c’erano le mogli, ma diciamo dopo che si è mangiato si appartavano tutti con zio Luigi per parlare dei fatti loro”. Pranzi e cene che divenivano, a detta del pentito vere e proprie riunioni di ‘ndrangheta, dove i commensali si defilavano: “io non partecipavo, non mi avvicinavo proprio”. E alla domanda del magistrato sul perché fosse sicuro che nel corso di queste riunioni si parlasse di criminalità organizzata, Megna risponde: “Dottore se si parlava di altro si stava al tavolo insieme alle donne”. Poi però approfondisce meglio quella che potrebbe apparire solo una deduzione logica con le dichiarazioni sentite dal padre nel momento in cui gli ospiti si isolavano: “Una mangiata tranquilla sempre a tarantella si vota, nel senso sempre si deve girare a queste cose qua, a parlare nell’orecchio a mettersi da parte”, ma Megna smentisce di aver sentito in prima persona discorsi nel corso della “mangiata” ad Oppido.

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