di Gabriella Passariello – Ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado il sostituto procuratore della Corte di appello di Catanzaro Marisa Manzini, per i quattro imputati, coinvolti nell’inchiesta della Dda di Catanzaro “Pietranera”, che il 7 dicembre 2017 ha portato la Squadra mobile del capoluogo di regione ad eseguire 7 misure cautelari nei confronti di capi e gregari della cosca Gallelli di Badolato, ritenuti responsabili di numerosi episodi estorsivi, aggravati dalle modalità mafiose, a carico di un’impresa agricola appartenente ad una nota famiglia di latifondisti, i baroni Gallelli di Badolato, costituitisi parte civile e rappresentati dall’avvocato Michele Gigliotti, che si è associato alla richiesta del pg, chiedendo il risarcimento dei danni per Lucia ed Ettore Gallelli. In particolare il magistrato ha invocato davanti ai giudici di secondo grado la condanna di Vincenzo Gallelli, alias Cenzo Macineju, a 11 anni di reclusione, per Antonio Gallelli, 9 anni; Francesco Larocca, 7 anni e per Giuseppe Caporale, 8 anni di reclusione, chiedendo ai giudici di lasciare inalterata la sentenza emessa il 13 novembre 2020 dal Tribunale collegiale di Catanzaro, presidente Carmela Tedesco, a latere Antonella De Simone e Francesco Rinaldi, che all’epoca avevano anche sentenziato quattro assoluzioni, non appellate dalla Dda. Gli avvocati Vincenzo Cicino, Domenico Pietragalla e Vincenzo Maiolo Staiano hanno chiesto di ribaltare il verdetto di primo grado. La Corte di appello ha aggiornato l’udienza al prossimo 3 marzo, giorno in cui terminerà l’arringa difensiva dell’avvocato Salvatore Staiano e probabilmente verrà emesso il verdetto.
Le attività di indagine
Le attività di indagine
Le attività investigative, condotte dalla Squadra Mobile di Catanzaro, coordinate dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, hanno permesso di accertare che il capo cosca Vincenzo Gallelli, 79 anni, sin dai primi anni ’90 avrebbe imposto la “guardiania” sulle proprietà della nota famiglia di Badolato, fissando inoltre le modalità di sfruttamento dei terreni, costringendo di anno in anno gli imprenditori a concedere pascolo ed erbaggio ai propri familiari, nipoti e pronipoti, impedendone il libero sfruttamento commerciale da parte dei legittimi proprietari. La pressante condizione di assoggettamento ed omertà imposta ai titolari dell’azienda agricola, realizzata anche con sistematici danneggiamenti alle strutture dell’impresa, li avrebbe costretti a modificare e rivedere, termini e condizioni contrattuali stabiliti con altri operatori agricoli, la cui presenza doveva rappresentare una sorta di argine alle pretese e ai condizionamenti di Vincenzo Gallelli.