di Mimmo Famularo – Quello che fino a ieri era il tribunale delle prescrizioni, oggi si è trasformato nel tribunale delle ricusazioni. La battuta circola velenosamente tra i corridoi del vecchio palazzo di Giustizia ubicato nel cuore di Vibo. C’è poco da scherzare e ancor meno da ridere perché la situazione rischia di paralizzare e mandare in tilt l’intero sistema giudiziario vibonese. Pochi giudici in organico, molti processi in corso alcuni dei quali si trascinano tra un rinvio e un altro per cause di forza maggiore. Rinascita Scott che si sta celebrando nell’aula bunker di Lamezia Terme dinnanzi al Tribunale collegiale di Vibo è solo quello più famoso. Per rimanere ai grandi processi di ‘ndrangheta l’elenco è piuttosto lungo: si va da Costa Pulita fino a Petrolmafie. E poi ci sono i procedimenti penali meno mediatici ma altrettanto importanti perché Vibo non è solo ‘ndrangheta e le emergenze da affrontare sono tante. Come quelle del Tribunale di Vibo messe in fila in una corposa relazione dal presidente Antonio Di Matteo che domani, lunedì 3 ottobre, sarà ascoltato dalla settima commissione del Consiglio superiore della Magistratura nella prima delle due audizioni programmate.
I numeri dell’emergenza
I numeri dell’emergenza
Basta snocciolare i numeri per capire quanto sia realmente grave la situazione al Tribunale di Vibo. La coperta è davvero troppo corta con appena venti giudici a disposizione più altri dieci onorari. In servizio ci sono attualmente due soli gip e formalmente non vi è alcuna divisione tra le diverse sezioni: penale, civile e del Lavoro. In gergo viene definita sezione promiscua. Per comprendere la complessità della questione è necessario fare il raffronto con i numeri del Tribunale di Palmi dove vi sono tre presidenti di sezione, 27 giudici togati e 18 onorari. Eppure il bacino d’utenza è simile come anche la penetrazione della criminalità organizzata sul territorio. Vibo tuttavia è provincia ed è anche l’epicentro della più grande inchiesta contro la ‘ndrangheta celebrata negli ultimi anni, Rinascita Scott, appunto. Lo Stato però si è girato dall’altra parte e tutti gli appelli lanciati a vari livelli sono caduti nel vuoto. I tanto auspicati rinforzi non sono mai arrivati e oggi il Tribunale di Vibo si trova a gestire processi di grandi dimensioni non solo mediatiche con appena due collegi. Uno è impegnato giornalmente nell’aula bunker di Lamezia Terme, l’altro ruota da un’udienza all’altra facendo gli straordinari come i colleghi impegnati nel maxiprocesso. Morale della favola: i carichi di lavoro sono giganteschi e immani per chi indossa la toga ma anche per chi lavora dietro le scrivanie degli uffici amministrativi. La ghigliottina della prescrizione è sempre dietro l’angolo e la nuova minaccia si chiama ricusazione con la quale, attualmente, stanno facendo i conti il presidente del Tribunale di Vibo e il collegio giudicante di Rinascita Scott sul cui testa pende sempre di più la spada di Damocle di una raffica di istanze preannunciate dagli avvocati di diversi imputati decisi a seguire la strada intrapresa dai difensori dei boss Luigi Mancuso e Giuseppe Accorinti (LEGGI QUI). A rendere più drammatica la situazione è il continuo turn over che si aggiunge al poco appeal che Vibo riveste nel panorama giudiziario nazionale: sede disagiata, periferica, con troppo lavoro, poco attrattiva senza gli opportuni incentivi economici. Il palazzo di Giustizia di corso Umberto I è solo un passaggio obbligato per la maggior parte dei magistrati. Un sacrificio di tre o quattro anni necessario ad aprire le porte di Tribunali ben più importanti e confortevoli. Così chi arriva non vede l’ora di scappare e a pagare dazio sono i cittadini che si rivolgono alla giustizia per avere quella giustizia che, quando arriva, è in notevole ritardo.
La soluzione-tampone del Csm
Nei giorni scorsi il Plenum del Csm ha inviato una nota al presidente del Tribunale di Vibo Erminio Di Matteo con la quale si preannuncia una prima delibera per l’applicazione di quattro magistrati extradistrettuali che nei prossimi sei mesi “tamponeranno” l’emergenza presiedendo le sempre più numerose udienze penali e civili che si aggiungono ai dibattimenti dei maxi processi di ‘ndrangheta in corso nelle aule del palazzo di giustizia vibonese. Una sorta di toppa al buco. Un altro giudice, Gianfranco Grillone, in “prestito” da Palmi, è già in servizio (presiede il collegio che deve giudicare i boss Accorinti e Mancuso nel processo “stralcio” di Rinascita Scott), ha toccato con mano le difficoltà e pure le differenze tra il Tribunale dove lavorava prima e quello dove sta operando adesso. L’emergenza è clamorosa ma al Ministero di Giustizia sembrano avere le bende agli occhi. Le responsabilità sono soprattutto politiche con i parlamentari del territorio che hanno fatto poco o nulla per sostenere i ripetuti appelli lanciati pubblicamente dal procuratore Falvo prima e dal presidente del Tribunale Di Matteo adesso. Nel corso dell’audizione di domani Di Matteo insisterà dinnanzi al Csm per l’adeguamento degli organici e per la firma immediata della delibera di applicazione al Tribunale di Vibo di altri quattro magistrati (oltre al giudice Grillone).
La situazione in Procura
Non va molto meglio in Procura. Attualmente in servizio ci sono sette sostituti oltre al procuratore Camillo Falvo che fin dal suo insediamento ha spinto moltissimo per adeguare l’ufficio che dirige da tre anni alle esigenze quotidiane di un territorio alle prese con diverse criticità: non sono solo quelle della criminalità organizzata. Per mesi si è dovuto lavorare con la logica di un pronto soccorso: tante inchieste da sviluppare, poche risorse a disposizione. La pianta organica resta tuttavia sotto dimensionata e pure qui fa riflettere il confronto con la Procura di Palmi che può contare, oltre che sul procuratore capo, su un aggiunto e nove sostituti. E’ la regola, non l’eccezione e valgono le stesse riflessioni del Tribunale ma a Roma non ci sentono e a Vibo paradossalmente magistrati e polizia giudiziaria devono stare persino attenti a non esagerare con le inchieste. L’effetto imbuto è reale per cui alla grande mole di lavoro prodotta dall’ufficio di Procura seguono richieste di misura cautelare che restano nei cassetti dei soli due gip in servizio anche per più di un anno. A chi sta bene tutto ciò? Non certamente ai magistrati che a Vibo come a Catanzaro lavorano notte e giorno senza tregua dietro le carte, neanche ai cittadini che denunciano sempre di più e che pretendono fatti, neppure agli avvocati che vogliono un giustizia veloce ed efficiente. A beneficiarne è chi nell’impunità continua a imperare rendendo una delle province più belle d’Italia un territorio invivibile consapevole, battute a parte, che in estrema ratio ci sarà sempre una prescrizione pronta a salvarlo.