Se c’è una cosa tra le poche che abbiamo compreso sul Coronovirus è che per contenerlo è necessario fare tamponi e test, in modo da comprendere la reale diffusione del contagio.
L’unico termometro, infatti, per comprendere dove sia il Covid-19 e come si propaga, cercando di tenerlo a bada per non scatenare un inferno come accaduto nel nord Italia in particolar modo. Dunque, ci aspettiamo che l’Italia, primo Paese ad aver subito l’impatto del virus, abbia eseguito i tamponi necessari al raggiungimento di tale scopo. Ma non è così, perché l’Italia ne fa pochi, soprattutto in alcune regioni. Il dato emerge dal monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE che ha posto in evidenza come il numero dei tamponi effettuato ogni giorno sia molto esiguo rispetto alla massiccia attività di testing necessaria nella fase 2.
L’unico termometro, infatti, per comprendere dove sia il Covid-19 e come si propaga, cercando di tenerlo a bada per non scatenare un inferno come accaduto nel nord Italia in particolar modo. Dunque, ci aspettiamo che l’Italia, primo Paese ad aver subito l’impatto del virus, abbia eseguito i tamponi necessari al raggiungimento di tale scopo. Ma non è così, perché l’Italia ne fa pochi, soprattutto in alcune regioni. Il dato emerge dal monitoraggio indipendente della Fondazione GIMBE che ha posto in evidenza come il numero dei tamponi effettuato ogni giorno sia molto esiguo rispetto alla massiccia attività di testing necessaria nella fase 2.
Come spiega il Presidente della Fondazione GIMBE Nino Cartabellotta – “un’analisi indipendente mostra come nei dati della protezione civile il numero dei tamponi tiene conto dei tamponi di controllo e non solo dei pazienti su cui viene effettuato il test. In sintesi dei 2.310.999 tamponi effettuati dall’inizio dell’epidemia circa un terzo sono tamponi ripetuti agli stessi pazienti. Le nostre analisi effettuate sugli ultimi 14 giorni – spiega Cartabellotta –forniscono tre incontrovertibili evidenze: innanzitutto, si conferma che circa 1/3 dei tamponi sono ‘di controllo’; in secondo luogo il numero di tamponi per 100.000 abitanti/die è molto esiguo rispetto alla massiccia attività di testing necessaria nella fase 2; infine, esistono notevoli variabilità regionali sia sulla propensione all’esecuzione dei tamponi, sia rispetto alla percentuale di tamponi ‘diagnostici'”.
Secondo lo studio messo in campo dalla Fondazione si rileva il target da raggiungere per adeguare il controllo sul territorio alla fase 2: ogni giorno, ogni regione, dovrebbe eseguire 250 tamponi ogni 100mila abitanti.
La media nazionale di 88 tamponi per 100.000 abitanti/die colloca l’Italia nella classe di propensione 4 con notevoli differenze regionali:
Classe 1 (>250): nessuna regione
Classe 2 (130-250): Provincia autonoma di Trento, Valle D’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Veneto, Friuli-Venezia Giulia
Classe 3 (100-129): Piemonte, Emilia-Romagna, Umbria, Liguria
Classe 4 (60-99): Lombardia, Marche, Basilicata, Toscana, Molise, Abruzzo, Lazio
Classe 5 (<60): Sardegna, Calabria, Campania, Sicilia, Puglia
“Alla luce di questi dati la Fondazione Gimbe – conclude Cartabellotta – da un lato richiama tutte le Regioni a implementare l’estensione mirata dei tamponi diagnostici, dall’altro chiede al Ministero della Salute di inserire tra gli indicatori di monitoraggio della fase 2 uno standard minimo di almeno 250 tamponi diagnostici al giorno per 100.000 abitanti. Il governo, oltre a favorire le strategie di testing, deve neutralizzare comportamenti opportunistici delle Regioni finalizzati a ridurre la diagnosi di un numero troppo elevato di nuovi casi che, in base agli algoritmi attuali, aumenterebbe il rischio di nuovi lockdown”.
La Calabria, analizzando i dati raccolti nel corso dello studio, ha una media di 52 tamponi al giorno per 100mila abitanti ed il suo target di sicurezza dovrebbe essere di 1.018. (Tabella in basso) (a.m.)