“Io non ho fatto un processo in tv, il processo si fa nell’aula bunker di Lamezia Terme e non era l’oggetto della mia inchiesta. L’oggetto della mia inchiesta era l’indagine Rinascita Scott. E le riprese sono cominciate prima ancora che iniziasse la prima udienza a Lamezia Terme. Non è che noi facciamo cronaca processuale. Invece è importante che i giornalisti tornino a parlare di queste cose”.
“C’è bisogno che i giornalisti italiani – sottolinea Iacona – tornino ad occuparsi della ’ndrangheta, che non lascino soli i tanti magistrati che lavorano su questo terreno in tutta Italia e che invece utilizzino le loro inchieste per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su un pericolo gravissimo che abbiamo nel nostro Paese: l’inquinamento del tessuto democratico ad opera di organizzazioni che sono talmente potenti che, come insegna Rinascita Scott, riescono anche a dilagare in quella terra di mezzo dove ci sono i professionisti, deve c’è l’economia e così via”.
“Io – ribadisce Iacona – ho fatto quello che deve fare un giornalista: ho parlato dell’indagine Rinascita Scott. Io non faccio la cronaca del processo. Il processo è cominciato da due mesi. Chissà quanto ci vorrà prima che finisce. Ma le dinamiche processuali che c’entrano con un’inchiesta che è stata fatta nel 2019 e di cui hanno parlato nel mondo intero, per i contenuti importanti che ha? E sono questi contenuti quelli che ho raccontato io”. Quanto alle critiche mosse dal Presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, Gian Domenico Caiazza, Iacona risponde: “Caiazza vuole impedire ai giornalisti di raccontare le inchieste se non raggiungono il terzo grado di giudizio? Dove finiamo? Ma di cosa stiamo parlando? Con questo criterio, non si potrebbe raccontare la grande criminalità organizzata nel nostro Paese”, conclude il giornalista.
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