Presentato il romanzo di Turano sulla “Rivolta”. Ma i neofascisti lo contestano: “Pennivendolo”

Ieri sera, al Circolo del Bridge di Reggio Calabria, oltre cento persone hanno assistito alla presentazione del libro Salutiamo, amico del giornalista dell’Espresso Gianfrancesco Turano, un romanzo ambientato nell’estate 1970, quella “accesa” dalla Rivolta di Reggio. Ma c’era anche un ristrettissimo drappello di persone fuori dalla porta del circolo di Pentimele, zona Nord della città: neofascisti che brandivano il cartello con su una sola scritta, “Turano pennivendolo. Chi per Reggio non è, peste lo colga”.

Il riferimento era già ben chiaro nelle ore in cui si svolgeva l’iniziativa promossa dalla Fondazione “Italo Falcomatà”, ospiti insieme all’autore del libro i giornalisti Pietro Raschillà e Tommaso Labate e l’ex caposaldo della Direzione nazionale antimafia Vincenzo Macrì. Ai “destrissimi” in azione ieri non è piaciuta – più ancòra che il romanzo in sé – la ricostruzione storica esplicata nella postfazione redatta da Turano.

Il riferimento era già ben chiaro nelle ore in cui si svolgeva l’iniziativa promossa dalla Fondazione “Italo Falcomatà”, ospiti insieme all’autore del libro i giornalisti Pietro Raschillà e Tommaso Labate e l’ex caposaldo della Direzione nazionale antimafia Vincenzo Macrì. Ai “destrissimi” in azione ieri non è piaciuta – più ancòra che il romanzo in sé – la ricostruzione storica esplicata nella postfazione redatta da Turano.

Un epilogo giornalistico-storiografico in cui si mettono in fila i fatti compresi fra il’69 e il ’72, che ben organizzati e assemblati dimostrerebbero la presenza di una strategia della tensione dell’eversione “nera” rispetto alla quale il golpe tentato da Junio Valerio Borghese era solo uno dei numerosi episodi.

A quel “filone”, come ha ricordato fra gli altri Macrì, sono riconducibili ad esempio le sei vittime della “Freccia del Sud”, il treno Torino-Palermo, i cui binari il 22 luglio del 1970 furono dolosamente divaricati all’altezza della stazione di Gioia Tauro; i cinque anarchici “della baracca”, deceduti in un incidente assolutamente “sospetto” il 26 settembre dello stesso anno, mentre viaggiavano in auto alla volta di Roma per consegnare una documentazione di denuncia per via di alcuni episodi relativi ai “Fatti”; le numerose bombe esplose nel quadriennio appena citato, e molti altri…

E secondo lo stesso Gianfrancesco Turano, per importanza strategica e d’orizzonte «con molto rispetto per i parenti delle 81 vittime dell’abbattimento del Dc-9 Itavia noto come “strage di Ustica”, il vero grande episodio di quegli anni fu il disegno stragista ed eversivo che stava evolvendo a Reggio Calabria; fu il golpe del generale Borghese, un personaggio enorme quanto misconosciuto della storia d’Italia, uno che trattava da pari a pari con Benito Mussolini, che lo “mise in un angolo” quando capì che il generale faceva il doppiogioco con gli americani, che sarebbero diventati i “padroni” del nostro Paese».

Al di là degli interventi succedutisi ieri sera, è questa filosofia, questa ricostruzione che ai neofascisti della “Brigata Sbarre” non è piaciuta.
E oggi, i “nipotini” del Ventennio – o della Repubblica di Salò, se preferite – pubblicano sulla loro pagina Facebook la foto del blitz di ieri sera con queste parole: «Le offese si ripagano con la giusta moneta», in riferimento al giornalista e scrittore destinatario del loro ingiustissimo epiteto di  “pennivendolo”.

E poi, rivolti ad altri interlocutori: « Per cerchiare una botte, il bottaio alterna martellate sul cerchio di ferro e sulle doghe, accade la medesima cosa in tempi di campagna elettorale. La famiglia Falcomatà, ad esempio, in costante ricerca di voti, un po’ come il bottaio, con lucida e spregiudicata determinazione, con una mano colpisce il cerchio e con l’altra la botte. Con una mano, chi indossa la fascia tricolore, dopo aver disertato per 5 anni le celebrazioni del 14 luglio, si ricorda al 90° minuto che il 2020 rappresenta il 50° anniversario della Rivolta di Reggio e decide di organizzare un comitato civico per “celebrare” l’evento». Mentre «chi impugna la matita “rossa e blu”», ossia Rosetta Neto, la vedova di Italo Falcomatà, sindaco della “Primavera” di Reggio Calabria cui è dedicata la “Fondazione” oggetto di vergognosa devastazione in concomitanza – tutta da approfondire, a questo punto… – con lo scorso 25 aprile, giorno in cui si celebra la Liberazione, sarebbe “rea” d’aver ospitato «l’autore di una “originalissima” storiella ambientata nella torrida estate del 1970, in cui in ogni modo e con ogni mezzo si offende, non la memoria dei boiachimolla, ma l’orgoglio, la determinazione, il coraggio, le sofferenze e le persecuzioni subite dall’intero popolo reggino». Esortazione finale della “Brigata”: «Si decida la famiglia Falcomatà, non si possono tenere i piedi in due “barricate”!».
Vari like a questo post “social”: spicca, tra loro, il “gradimento” dell’ex assessore della giunta Scopelliti Peppe Agliano.

A questo punto, non può che crescere l’interesse – anche investigativo –verso la contestazione di ieri sera, le sue radici e i suoi autori, verso la matrice di questo gesto e le sue effettive finalità. Specie considerando che Turano in un precedente romanzo, Contrada Armacà (località che per ironia della sorte si trova a due passi dal luogo della presentazione di ieri sera…), poneva inquietanti interrogativi su un paio di clamorosi misteri della storia reggina più recente, forse interconnessi: il suicidio dell’ex dirigente comunale al Bilancio Orsola Fallara e l’omicidio del giovanissimo parrucchiere Giuseppe Sorgonà, vittima una vera “esecuzione” di stampo militar-mafioso il 7 gennaio del 2011.

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