di Gabriella Passariello- Ha chiesto di lasciare immutato il verdetto emesso in primo grado il 19 aprile dell’anno scorso dal gup distrettuale del Tribunale di Catanzaro per 22 imputati condannati a pene comprese tra i 20 anni e 1 anno di reclusione nell’ambito del processo “Prisoners Tax”, un blitz che il 23 luglio 2019 ha portato i carabinieri ad eseguire 25 misure cautelari, vergate dal gip Antonio Battaglia su richiesta della Procura di Catanzaro, che punta a far luce su un presunto giro di sostanze stupefacenti ed estorsioni nell’area del Soveratese.
Le richieste di pena in appello
Le richieste di pena in appello
Il sostituto procuratore generale Marisa Manzini davanti ai giudici della Corte di appello ha invocato la conferma della condanna sentenziata dal giudice di prime cure chiedendo per Antonio Arena, 7 anni di reclusione; Matteo Arena, 7 anni e 8 mesi; Alessandro Aversa, 8 anni; Ernesto Bertucci, 7 anni; Raffaele Campagna, 1 anno, 8 mesi e 800 euro di multa; Giuseppe Codispoti, 7 anni e 4 mesi di reclusione; Giuseppe Corapi, 16 anni di reclusione; Nicol Durante, 1 anno, 8 mesi e 1.800 euro di multa; Francesco Grande, 1 anno, 8 mesi e 1800 euro di multa; Giovanni Gregoraci, 7 anni e 4 mesi di reclusione; Roberto Ierace, 7 anni e 8 mesi di reclusione; Salvatore Lioi, 7 anni di reclusione; Andrea Mascaro, 1 anno, 8 mesi e 1800 euro di multa; Valentina Mongiardo, 7 anni di reclusione; Vincenzo Pacicca,1 anno, 8 mesi e 1800 euro di multa; Carmine Procopio, 18 anni di reclusione; Domenico Procopio, 14 anni e 8 mesi di reclusione; Maria Caterina Procopio, 7 anni di reclusione; Sergio Scicchitano, 9 anni di reclusione; Domenico Spadea, 20 anni di reclusione; Saverio Spadea, 7 anni e 8 mesi di reclusione e Carmela Vono, 9 anni di reclusione. I giudici di secondo grado hanno aggiornato l’udienza al prossimo 11 luglio, giorno in cui inizieranno le arringhe difensive dei legali Salvatore Staiano, Vincenzo Maiolo Staiano, Vincenzo Cicino, Serena Riccio, Cristiano Nuzzi, Francesco Maida, Anna Rosso, Giovanni Canino, Maria concetta Cristofaro, Sergio Callipari, Vitaliano Leone, Salvatore Vono e Ettore Giovanni Fioresta.
Il capo dell’organizzazione
L’inchiesta era stata avviata nell’estate del 2016 dopo l’analisi di alcune attività anti-droga eseguite nel corso di ordinari servizi di controllo del territorio. Le investigazioni hanno permesso di documentare la gestione organizzata dell’attività di spaccio (cocaina, hashish e marijuana) da parte del sodalizio nei comuni di San Sostene, Davoli, Montepaone e Gasperina. Secondo l’accusa a capo dell’organizzazione c’era Domenico Procopio, ritenuto il reggente della cosca della ‘ndrangheta Procopio-Mangiardo.
L’attività di spaccio
Un episodio in particolare fa riferimento all’attività di spaccio svolta da Domenico Spadea, che avrebbe utilizzato per gli scambi la propria abitazione, con la complicità del padre e della madre. I carabinieri, in seguito alla perquisizione nell’abitazione di A. S., hanno ritrovato uno zaino di colore rosa e viola all’interno del quale erano custoditi ben 223 grammi di marijuana e due bilancini di precisione utilizzati per il confezionamento della droga. E sono state le dichiarazioni dell’uomo, risultato subito estraneo alla vicenda, che avrebbero consentito di individuare negli Spadea gli effettivi proprietari della droga: il gruppo finito nella rete dagli inquirenti infatti, per sviare i sospetti, avrebbe nascosto la droga all’interno dell’abitazione dove la madre di Domenico Spadea svolgeva l’attività di badante. A. S. oltre a negare che la borsa fosse sua, avrebbe riferito che la stanza dove la stessa era stata trovata sarebbe stata utilizzata esclusivamente da Carmela Vono per stirare ed appendere la biancheria e che la donna oltre che occuparsi della sua persona, aveva anche la disponibilità delle chiavi ed eccedeva alla sua abitazione tramite un balconcino limitrofo. Dall’ascolto delle conversazioni intervenute proprio negli istanti del ritrovamento, si nota la preoccupazione di Spadea e della madre all’arrivo dei carabinieri, che cercano in tutti i modi di tentare di sottrarre lo zaino poi trovato: “Domè ma qua sono venuti i carabinieri… sono andati a casa di … che aspetti muoviti ad andare là… muoviti non è che succede qualcosa”. La ricostruzione dei fatti, per il gip firmatario dell’ordinanza, non lascia alcun dubbio sulla riconducibilità della disponibilità dello zaino e della droga in esso contenuta alle persone di Spadea e Vono, sospettata di aiutare il figlio nell’attività di spaccio che questo svolge in modo professionale e con l’uso della sua abitazione.
Le estorsioni e le minacce
Diversi sono anche i casi di estorsioni documentati nelle carte. In un episodio in particolare i due imputati si sarebbero fatti consegnare i soldi dai genitori di un cliente. Corapi non si sarebbe fatto alcuno scrupolo nell’ investire della questione anche i genitori della vittima ripetutamente compulsati per ottenere il pagamento del debito contratto dal figlio. Insulti e persecuzioni telefoniche dal contenuto minaccioso con cui i due imputati avrebbero tempestato non soltanto il giovane debitore, quanto anche i suoi genitori, ai quali venivano prospettate vere e proprie ritorsioni fisiche: “come dobbiamo fare con il figlio vostro… insomma non è puntuale”. Minacce che sortiscono anche parziali effetti: i genitori riescono a restituire a Corapi una parte del debito impegnandosi poi al pagamento della rimanenza “per fine mese ti restituisco 1450 euro”. Il contesto intercettivo, secondo gli inquirenti, di per sé sufficiente a delinearne un quadro di gravità indiziaria a carico di entrambi gli indagati, sarebbe stato ulteriormente corroborato anche dalle dichiarazioni dei genitori, che per un verso hanno confermano la dipendenza dalla droga del figlio e dall’altro hanno ribadito le pressanti richieste di denaro ricevute dai due anche con minacciose e visite nella loro abitazione.
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