di Mimmo Famularo – Niente sconti e tutti condannati con le stesse pene del processo di primo grado: quattro anni e quattro mesi di reclusione per il giudice Marco Petrini; tre anni e due mesi di reclusione per Emilio Santoro, detto Mario; un anno e otto mesi di reclusione per Francesco Saraco. Questo il verdetto emesso dalla Corte d’appello di Salerno nell’ambito del procedimento penale teso a fare luce sui presunti processi aggiustati a Catanzaro scaturito dall’operazione con nome in codice “Genesi”. Si chiude dunque con una sentenza di condanna anche il secondo capitolo giudiziario della nota vicenda che ha scosso la Corte d’appello del distretto giudiziario catanzarese (LEGGI QUI).
Le richieste della Procura generale
Le richieste della Procura generale
Nei confronti del giudice Petrini il sostituto procuratore generale al termine della sua requisitoria aveva chiesto la condanna a cinque anni di reclusione. Condannato a quattro anni e quattro mesi in primo grado con rito abbreviato la Dda di Salerno aveva fatto ricorso chiedendo la rideterminazione della pena e la condanna dell’ex presidente di sezione della Corte d’appello di Catanzaro anche per il capo di accusa relativo alla alla corruzione in atti giudiziari in cambio di favori sessuali in concorso con l’avvocato Maria Tassone, detta Marzia (LEGGI QUI). Per questo reato il gup di Salerno lo aveva assolto perché “il fatto non sussiste”. Il giudice Marco Petrini è difeso dall’avvocato Francesco Calderaro. Per quanto riguarda gli altri due imputati, la pubblica accusa aveva chiesto invece la conferma delle condanne emesse in primo grado e, in particolare, 3 anni e 2 mesi per il “faccendiere” Emilio Santoro, detto Mario, difeso dall’avvocato Michele Gigliotti, e 1 anno e 8 mesi con pena sospesa per Francesco Saraco, assistito dall’avvocato Nico Fulvio D’Ascola. Per entrambi le difese avevano invece invocato la riqualificazione del reato in traffico di influenze illecite.
Operazione “Genesi”
Le indagini avviate nel 2018 e interamente coordinate dalla Dda di Salerno hanno permesso di ricostruire “una sistematica attività corruttiva del presidente della Sezione della Corte di Appello di Catanzaro nonché presidente della Commissione provinciale tributaria del capoluogo di Regione”. Gli imputati avrebbero promesso e consegnato al magistrato, a più riprese, consistenti somme di denaro contante, gioielli e altri beni ed utilità, in cambio del suo intervento per ottenere provvedimenti favorevoli in processi penali, civili e cause tributarie. “In taluni casi – secondo quanto ipotizzato dalla Procura di Salerno – i provvedimenti richiesti al magistrato e da quest’ultimo promessi e/o assicurati erano diretti a vanificare, mediante assoluzioni o consistenti riduzioni di pena, sentenze di condanna pronunciate in primo grado dai Tribunali del Distretto di Catanzaro, provvedimenti di misure di prevenzione, già definite in primo grado o sequestri patrimoniali in applicazione della normativa antimafia, nonchè sentenze in cause civili e accertamenti tributari”.