di Gabriella Passariello- E’ inammissibile il ricorso della Dda di Salerno contro l’ordinanza con cui il Riesame campano il 6 febbraio scorso aveva annullato la misura cautelare in carcere nei confronti di Emilio Santoro, detto Mario, disponendo i domiciliari e facendo cadere l’aggravante mafiosa in due ipotesi corruttive per l’imputato coinvolto nell’inchiesta Genesi che fa luce su una serie di processi aggiustati in cambio di soldi in Corte di appello a Catanzaro. Lo ha deciso la sesta sezione della Corte di Cassazione, accogliendo le argomentazione del legale difensore Michele Gigliotti. La Suprema Corte, nel motivare l’inammissibilità del ricorso ha riproposto le conclusioni del Riesame: Santoro e gli altri coindagati hanno agito per il soddisfacimento di un proprio interesse personale e non per agevolare la cosca di ‘ndrangheta del locale di Guardavalle come ipotizzato dalla Dda.
Per la Dda: “Prova travisata”
Per la Dda: “Prova travisata”
Secondo la distrettuale infatti, i giudici del Riesame non avrebbero ben compreso una conversazione intercorsa tra Santoro e il giudice Marco Petrini, nel corso della quale, discorrendo dell’imminente definizione del processo, che vedeva imputato Maurizio Gallelli, affiliato alla cosca e della possibile pena che gli sarebbe stata irrogata, Santoro afferma: “ma l’associazione non gli cade”. Da questa conversazione la Dda aveva ritenuto dimostrata la consapevolezza da parte di Santoro dell’esistenza del sodalizio mafioso e del suo interesse ad assicurare ad un aderente alla stesso clan un trattamento sanzionatorio (e in prospettiva penitenziario) più favorevole. Per la Cassazione, invece, da quello stralcio di conversazione non si desume con chiarezza che il proscioglimento di Gallelli dall’imputazione per il delitto associativo costituisse lo scopo dell’accordo corruttivo tra Santoro e il giudice Petrini. Tra l’altro, come rimarcato dal Tribunale del riesame, Gallelli, non rivestiva un ruolo di primo piano nell’organigranma del sodalizio e all’epoca era detenuto per altra causa, per cui ritenere che Santoro avesse agevolato lo stesso Gallelli per avvantaggiare l’intero clan in difetto di altri elementi di prova si presenta incompleta e non basta per dimostrare l’aggravante mafiosa. Per la Suprema corte non può parlarsi in questo caso di travisamento del dato probatorio.
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