Nessun colpo di scena in aula per le persone coinvolte nell’inchiesta della Dda di Salerno, nome in codice Genesi, su un giro di corruzione nella Corte di appello e nella commissione tributaria di Catanzaro, con la complicità di giudici, professionisti e avvocati. Chiamato dal gip del Tribunale di Salerno su richiesta della Dda campana a riferire sui capi di imputazione contestati attraverso lo strumento dell’incidente probatorio, che serve a cristallizzare le prove in un futuro dibattimento, il magistrato Marco Petrini, codifeso dai legali Francesco Calderaro e Agostino De Caro, ha confermato quasi totalmente le ipotesi corruttive. Accuse che fanno riferimento alla richiesta di revoca della confisca e al dissequestro di un vasto compendio immobiliare del valore di 30milioni di euro, dei conti correnti bancari e delle quote societarie. Non senza chiedere “qualcosa in cambio”. Petrini avrebbe ricevuto dal commercialista Antonio Claudio Schiavone, su mandato dell’avvocato Francesco Saraco, e alla presenza del medico Emilio Santoro detto Mario, (entrambi indagati in Genesi) all’interno dell’ascensore della sua abitazione, la somma in contanti di 10mila euro. Ma non avrebbe interferito nelle decisioni dei colleghi del collegio giudicante della Corte di appello per assicurare la forte riduzione, previa esclusione del delitto associativo, delle pene inflitte in primo grado ad Antonio Saraco e Maurizio Gallelli nell’ambito del procedimento Itaca free Boat. Ha confermato di aver percepito 500 euro che provvedeva a versare subito dopo sul proprio conte corrente e successivamente ulteriori regalie da Luigi Falzetta e da Santoro: almeno sei casse di vino, una cassetta di arance e un’altra di polisterolo con del pesce, recapitati unitamente ad un messaggio scritto da Francesco Saraco e di aver accettato da Santoro, definito dalla Dda, l’emissario dei Saraco, la promessa di centomila euro per la quale il figlio di Antonio Saraco emetteva l’assegno bancario a titolo di garanzia del pagamento della somma a nome di Marco Petrini.
Negati i capi di accusa sugli avvocati Tassone e Spina
Negati i capi di accusa sugli avvocati Tassone e Spina
Ha inoltre confermato che l’avvocato Maria, detta Marzia Tassone, codifesa dai legali Valerio Murgano e Antonio Curatola, con cui ha avuto una relazione sentimentale, gli avesse rivolto richieste di aiuto, ma entrando nello specifico ha negato ogni accordo corruttivo. Sulla vicenda relativa al processo “Ragno”, pendente dinanzi alla Corte di appello presieduta dallo stesso Petrini e in relazione al quale, nell’udienza del 14 gennaio 2019, veniva bocciata la richiesta della Procura generale di acquisizione dei verbali di interrogatorio del collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, in accoglimento delle tesi difensive, ha smentito, (confermando in sostanza quanto già detto in sede di dichiarazioni spontanee), che quel verbale fosse stato acquisito, perché riferito a dichiarazioni non pertinenti con i capi di imputazione di quel processo. Così come ha ammesso di aver ricevuto dei soldi dal legale Palma Spina con cui ha avuto una relazione, ma non per favorirla nei processi: “ho chiesto in prestito dei soldi, li dovevo restituire e poi non li ho restituiti”, tant’è che le sentenze emesse da Petrini, prodotte in aula dal legale difensore dell’indagata, l’avvocato Bernardo Marasco, sono state sfavorevoli per l’indagata stessa.
Le conferme di Saraco
Francesco Saraco ha confermato in sede di incidente probatorio quanto già sostenuto nel momento in cui ha reso dichiarazioni spontanee. Ha ammesso di aver corrotto Petrini “per salvare il padre” Antonio, sottoposto a un sequestro milionario e di aver preferito per la difesa del padre un avvocato piuttosto che un altro, amico di famiglia, perché difensore di persone legate alla ‘ndrangheta. “Questo avvocato non la prese bene e quando arrivò il provvedimento di confisca, mi disse che era colpa mia e del legale che avevo scelto”. L’incidente probatorio si è chiuso con Santoro, difeso dal legale Michele Gigliotti. (g.p.)