di Mimmo Famularo – La Corte d’appello di Reggio Calabria ha fissato per il prossimo 25 maggio il processo di secondo grado nei confronti dell’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano e degli altri 17 imputati condannati dal Tribunale collegiale di Locri a pene comprese tra uno e tredici anni e due mesi di reclusione nell’ambito dell’inchiesta denominata in codice “Xenia”. Il decreto di citazione riguarda, in particolare, gli imputati che hanno proposto ricorso in appello attraverso i rispettivi avvocati. Si tratta di Abeba Abraha Gebremarian nata in Sudan ma residente a Riace e condannata a 4 anni di reclusione in primo grado; Giuseppe Ammendolia, detto Luca, di Caulonia (3 anni e 6 mesi); Nicola Audino di Riace (4 anni); Assan Balde nato in Senegale ma residente a Camini (un anno); Fernando Antonio Capone di Riace (9 anni e 10 mesi); Oberdan Pietro Curiale di Varallo (Vicenza) ma residente a Riace (4 anni); Cosimina Ierinò di Riace (8 anni e 10 mesi); Oumar Keita nato in Costa d’Avorio ma residente a Camini (1 anno), Domenico Lucano di Riace (13 anni e 2 mesi); Cosimo Damiano Musuraca di Riace (1 anno); Gianfranco Musuraca di Riace (4 anni); Salvatore Romeo di Riace (6 anni); Maurizio Senese di Pentone (Catanzaro) (1 anno); Maria Taverniti di Riace (6 anni e 8 mesi); Lemlem Tesfahun nata in Etiopia e residente a Riace (4 anni e 10 mesi); Filmon Tesfalem nato di Eritrea e residente a Camini (1 anno); Jerri Cosimo Ilario Tornese di Riace (6 anni); Annamaria Maiolo di Riace (6 anni). Individuate quali parte civili il ministero dell’Interno, persona offesa anche per il tramite della Prefettura di Reggio Calabria rappresentata dall’avvocato Luca Abignente, la Siae (società italiana autori ed editori presieduta da Giulio Repetti, in arte Mogol) assistita dagli avvocati Maria Piera Saija e Francesco Mortelliti.
Operazione “Xenia”
Operazione “Xenia”
Il processo è scaturito in seguito all’inchiesta “Xenia” condotta dai finanzieri del Gruppo di Locri. Nel 2018 il personaggio simbolo dell’integrazione è stato travolto dall’indagine che aveva ipotizzato l’esistenza di un sistema criminale dietro quello che nel mondo era conosciuto come paese dell’accoglienza. L’ex sindaco di Riace Domenico Lucano era accusato di essere il promotore di un’associazione a delinquere che aveva lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti, orientando così l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas e Msna”.
Tutte le accuse a Lucano
Lucano era sotto processo anche per abuso d’ufficio, truffa, falsità ideologica, turbativa d’asta, peculato e malversazione a danno dello Stato. Nel corso della requisitoria l’accusa aveva affermato che “numerose conversazioni dimostrano in modo netto che l’agire, anche illecito, di Lucano è determinato da interessi di natura politica”. Secondo il pubblico ministero Michele Permunian “non era importante la qualità dell’accoglienza ma far lavorare i riacesi così da conseguire, quale contraccambio, un sostegno politico elettorale”. Dietro le quinte del paese dell’accoglienza si nascondeva – secondo l’ipotesi accusatoria – un sistema clientelare”.
Lo sfogo di Lucano
Proprio qualche giorno fa intervenendo a un’iniziativa di Sinistra Italiana, Mimmo Lucano aveva rivelato di non avere fiducia nella giustizia: “E’ un luogo comune dire di aver fiducia nella giustizia, è un atteggiamento ruffiano. Io l’abuso d’ufficio l’ho fatto e lo rifarei: per non incorrere in questo reato avrei dovuto cacciare gli immigrati dopo 6 mesi dalle case. Ho fatto anche l’associazione a delinquere: con il vescovo Bregantini e con tutti quelli che hanno immaginato un altro mondo possibile, e non si rassegnano al prevalere di politiche di disumanità, discriminazione, disuguaglianza, razzismo”. Il prossimo 25 maggio la parola passerà alla Corte d’appello di Reggio Calabria chiamata a giudicare l’intero sistema di accoglienza creato da Mimmo Lucano e passato alla storia come “modello Riace”.
Il collegio difensivo
I diciotto imputati sono difesi dagli avvocati Wanda Bitonte, Giuseppe Andrea Daqua, Vincenzo Ammendolia, Giuseppe Gervasi, Alfredo Arcorace, Giuseppe Sgambellone; Giuseppe Di Salvo, Salvatore Zurzolo, Giuliano Pisapia, Francesco Rotundo, Roberta Antonia Campagna, Maria Stella Chiera, Lorenzo Trucco, Maria Antonietta Iorfida.
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