di Mimmo Famularo – La Cassazione mette il sigillo definitivo sul processo contro il clan Mancuso nato dalla maxi operazione denominata in codice “Black Money”. Dichiarati inammissibili tutti i ricorsi presentati. Quelli dell’accusa rappresentata dalla Procura generale e quelli della difesa. Confermata in tutto e per tutto la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro che diventa quindi definitiva.
Non regge l’associazione mafiosa
Non regge l’associazione mafiosa
Come già stabilito dal Tribunale di Vibo nella sentenza di primo grado e ribadito dai giudici in Appello nel verdetto del novembre del 2019 non c’è associazione mafiosa. Così Giovanni Mancuso, uno dei capi dell’omonimo clan di Limbadi, è stato condannato in via definitiva a 9 anni di reclusione solo per il reato di usura; il fratello Antonio Mancuso, anche lui di Limbadi, dovrà scontare cinque anni per il reato di estorsione mentre è stato definitivamente assolto il nipote Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, che sta scontando l’ergastolo per altri processi. Confermata la pena a 7 anni e 8 mesi di reclusione per Agostino Papaianni, ritenuto il referente dei Mancuso nell’area di Capo Vaticano, catturato dalla Polizia a Catanzaro la scorsa settimana dopo un lungo periodo di latitanza per essere sfuggito all’arresto nel maxi blitz “Rinascita Scott”. Definitive anche le condanne per Gaetano Muscia di Tropea (7 anni) e per l’imprenditore di San Calogero Antonio Prestia (5 anni e 6 mesi).
Operazione “Black Money”
L’operazione era scattata nel marzo del 2013 con il coordinamento dell’allora procuratore aggiunto della Dda, Giuseppe Borrelli, oggi a capo della Procura di Salerno. In primo grado l’accusa è stata sostenuta dal pm Marisa Manzini mentre in Appello per l’accusa c’era il pm Annamaria Frustaci per conto della Procura generale. Nel collegio difensivo sono stati impegnati gli avvocati Salvatore Staiano, Francesco Sabatino Vincenzo Maiello, Michelangelo Miceli, Giuseppe Di Renzo, Francesco Calabrese, Giovanni Vecchio, Francesco Schimio.