Processo al clan Soriano di Filandari, chieste condanne pesanti in appello

Pene tra i 5 e i 24 anni di carcere invocate dalla Procura generale in riforma della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Vibo

La Procura generale di Catanzaro ha chiesto undici condanne nell’ambito del processo di secondo grado scaturito dall’operazione antimafia denominata “Nemea” contro il clan Soriano di Filandari il cui fascicolo è stato successivamente integrato con le accuse contestate alla famiglia di Pizzinni nella maxi inchiesta “Rinascita Scott” con l’unificazione dei processi. Il sostituto procuratore generale, al termine della sua requisitoria dinnanzi alla Corte d’appello di Catanzaro, ha dunque chiesto di riformare la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia invocando pene tra i 5 e i 24 anni di reclusione.

Le richieste di condanna

Le richieste di condanna

Per Giuseppe Soriano sono stati chiesti 24 anni di reclusione (in primo grado era stato condannato a 13 anni e 8 mesi); per la mamma di quest’ultimo Graziella Silipigni la Procura generale ha richiesto 12 anni (come in primo grado); per Giacomo Cichello chiesti 5 anni e 6 mesi (il Tribunale di Vibo lo aveva condannato a 5 anni); per Francesco Perrotta chiesti 22 anni (in primo grado condannato a 13 anni); per Caterina Soriano chiesti 18 anni (11 anni e 11 mesi in primo grado); per Luca Ciconte chiesti 15 anni (condannato a 10 anni e 9 mesi in primo grado); per Domenico Nazionale chiesti 10 anni (assolto in primo grado); per Rosetta Lopreiato (moglie di Leone Soriano) chiesti 11 anni (assolta in primo grado); per Giuseppe Guerrera chiesti 10 anni (assolto in primo grado); per Luciano Marino Artusa chiesti 10 anni (assolto in primo grado); per Alex Prestanicola chiesti 10 anni (assolto in primo grado).

Per Leone Soriano si attenderà la perizia pschiatrica

La pubblica accusa non ha invece formulato per il momento alcuna richiesta nei confronti di Leone Soriano, ritenuto dagli inquirenti l’indiscusso capo dell’omonimo clan. La sua posizione verrà affrontata successivamente all’esito della perizia psichiatrica chiesta dai legali dell’imputato, gli avvocati Diego Brancia e Sergio Rotundo.

La sentenza di primo grado

In primo grado il Tribunale di Vibo Valentia presieduto dal giudice Tiziana Macrì aveva inflitto sette condanne e otto assoluzioni. La pena più pesante, pari a 18 anni e 11 mesi di reclusione, è stata comminata al boss Leone Soriano. Alla sbarra c’erano capi e gregari di una delle “famiglie” considerate tra le più pericolose della ‘ndrangheta vibonese, coinvolte nell’operazione antimafia “Nemea” ma anche nella maxi inchiesta “Rinascita Scott”. Contro questa sentenza hanno fatto appello, in particolare, i sette imputati condannati: Luca Ciconte, Caterina, Giuseppe e Leone Soriano, Graziella Silipigni, Giacomo Cichello e Francesco Parrotta. A sua volta la Dda di Catanzaro ha impugnato il verdetto nei confronti di altri cinque imputati assolti dal Tribunale di Vibo: Rosetta Lopreiato, Domenico Nazionale, Alex Prestanicola, Giuseppe Guerrera, Luciano Artusa.

Operazione “Nemea”

Il blitz contro i Soriano di Filandari è scattato all’alba dell’otto marzo del 2019. I carabinieri, coordinati dall’allora procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Giovanni Bombardieri, hanno eseguito sette fermi nell’ambito di un’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Annamaria Frustaci. Le accuse, a vario titolo, vanno dall’estorsione al danneggiamento, dalla detenzione di armi e munizioni alla detenzione di droga ai fini di spaccio. Reati aggravati dal metodo mafioso. L’inchiesta ha fatto luce su una serie di intimidazioni messe a segno tra Filandari e Jonadi in un arco temporale piuttosto ristretto che va da fine novembre a fine febbraio. Una dozzina gli atti intimidatori ricostruiti dai carabinieri guidati sul campo dal colonnello Luca Romano e dal maggiore Valerio Palmieri. Tra i tanti episodi oggetto del fermo, inquietante l’idea di compiere un attentato ai danni della caserma dei carabinieri di Filandari. Un quadro accusatorio appesantito dalle dichiarazioni fornite agli inquirenti dal nuovo collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso che proprio dopo essere stato arrestato dai carabinieri ha deciso di saltare il fosso. E’ stato processato con il rito abbreviato e condannato a 4 anni ed 8 mesi di reclusione.

Il collegio difensivo

Nel collegio di difesa figurano i seguenti avvocati: Diego Brancia, Salvatore Staiano, Francesco Schimio, Tommaso Zavaglia, Giuseppe Di Renzo, Daniela Garisto, Giovanni Vecchio, Mario Bagnato, Pamela Tassone, Vincenzo Brosio, Sergio Rotundo. (mi.fa.)

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