Processo alla “Malapianta” delle cosche Crotonesi, 31 condanne in appello (NOMI)

Undici condanne ribaltate in assoluzioni dalla Corte di appello di Catanzaro. La Dda aveva invocato la conferma delle pene inflitte dal gup
soriano filandari

Con diciassette pene rideterminate, quattordici confermate e undici condanne ribaltate in assoluzioni si chiude il processo di secondo grado per 42 imputati coinvolti nell’ambito della duplice inchiesta Malapianta, scattata a maggio 2019 in esecuzione di 35 provvedimenti di fermo e Infectio, un blitz che ha portato a 23 misure cautelari nel dicembre 2019.  Due indagini che mirano a svelare gli affari delle cosche di ‘ndrangheta dei Mannolo, Zoffreo e Trapasso di San Leonardo di Cutro (Crotone) e la loro proiezione in territorio umbro, dove, attraverso stabili collegamenti con la casa madre, avrebbero impiantato un lucroso traffico di stupefacenti, anche con la complicità di trafficanti albanesi.  Le ‘ndrine, secondo le ipotesi accusatorie, avrebbero minato, con attività estorsive, la libera concorrenza nella esecuzione di lavori edili, attivandosi a favore di soggetti candidati alle elezioni amministrative locali. L’inquinamento del tessuto economico (da qui il nome dell’operazione infectio) da parte dei criminali sarebbe avvenuto attraverso società, spesso intestate a prestanome o persone fantasma, in grado di offrire prodotti illeciti. La Corte di appello di Catanzaro, presieduta da Loredana De Franco, ha parzialmente accolto la richiesta della Dda che aveva invocato in aula, al termine della requisitoria, la conferma per tutti gli imputati del verdetto di condanna sentenziato dal gup distrettuale Gabriella Logozzo il 24 maggio 2021.  

Le condanne rideterminate 

Le condanne rideterminate 

La Corte di appello ha  ridotto le pene per Sherif Arapi, infliggendogli 3 anni e 4 mesi di reclusione (in primo grado era stato condannato a 8 anni di reclusione); Emiliano Regni, 3 anni e 8 mesi (in primo grado 5 anni e 8 mesi di reclusione); Fabrizio Conti, 3 anni (in primo grado 7 anni e 8 mesi di reclusione); Natale Ribecco, 6 anni e 8 mesi (in primo grado 15 anni e 4 mesi);Francesco Valentini,  2 anni, 10 mesi, 20 giorni, 2.889 euro di multa (in primo grado 7 anni e 4 mesi); Elio Passalacqua,  11 anni, 2 mesi e 20 giorni ( in primo grado 11 anni e 4 mesi di reclusione); Dante Mannolo, (53enne) 6 anni (in primo grado 9 anni e 4 mesi); Ambra Germini, 1 anno e 300 euro di multa (in primo grado 1 anno, un mese, 10 giorni e 400 euro di multa); Mario De Bonis, 4 anni, un mese, 10 giorni e 5.933 euro di multa, (in primo grado 7 anni, 4 mesi e 10.200 euro di multa); Sandro Forin, 2 anni, 2889 euro di multa,  (in primo grado 3 anni, 4 mesi e 4mila euro di multa); Walter Nardoni, 2 anni 5 mesi, 23 giorni e 3667 euro di multa (in primo grado 4 anni, 2 mesi, 20 giorni e 6mila di multa); Giuseppe Mannolo, 19 anni e 9 mesi di reclusione (in primo grado  19 anni e 10 mesi di reclusione);  Pasquale Gentile, 19 anni e 9 mesi (in primo grado 20 anni); Mario Mannolo,  19 anni e 3 mesi (il primo grado 20 anni); Cosimo Manetta, 11 anni e 5 mesi (in primo grado 11 anni e 8 mesi);  Daniela Mannolo, 2 anni e 10 mesi (in primo grado 3 anni, 4 mesi); Luigi Pignanelli, 1 anno di reclusione e 1.500 euro di multa, (in primo grado 9 anni e 6 mesi);  

Le assoluzioni

I giudici di secondo grado hanno ribaltato la sentenza di condanna emessa dal giudice di prime cure, assolvendo Francesco Ribecco, (in primo grado 9 anni e 4 mesi di reclusione);  Antonio Costantino, (in primo grado 1 anno, 6 mesi e 4 mila euro di multa); Giuseppe Costantino, (in primo grado 1 anno, 4 mesi e 4mila euro di multa); Pasquale Mannolo, (in primo grado 10 mesi e 20 giorni); Lucia Mannolo, (in primo grado 10 mesi e 20 giorni di reclusione);  Antonio Mercurio, (in primo grado 3 anni, 6mesi e 20 giorni);  Vincenzo Antonio Mazzeo, (in primo grado 5 anni e 4 mesi); Nicola Perri, (in primo grado 11 anni e 6 mesi) e Domenico Ribecco, (in primo grado 10 anni),  Fabio Mannolo, 5 anni, 4 mesi e 4mila euro di multa e Dante Mannolo,(42enne), 6 anni, 8 mesi e 6mila di multa.

Le condanne confermate 

I giudici di secondo grado hanno confermato il verdetto sentenziato dal gup nei confronti di Antonio Barbaro, condannato a 14 anni anni di reclusione; Domenico Basile, 4 anni, 8 mesi di reclusione e 8mila euro di multa; Antonio Bevilacqua, 10 anni;  Alessandro Caputo, (in primo grado 3 anni e 6mila euro); Giacinto Castagnino, 4 anni e 18mila euro;  Mario Cutrì, 14 anni;  Francesco Passalacqua, 10 anni, 2 mesi e 20 giorni; Leonardo Passalacqua, 11 anni e 8 mesi di reclusione;  Alessandro Perini, 11 anni e 8 mesi;  Gregorio Procopio, 10 anni; Luigi Raso, 12 anni; Fiore Zoffreo, 20 anni,  Leonardo Zoffreo 18 anni di reclusione, Mario Falcone, 4 anni e 4mila euro di multa;

Le parti civili e il collegio difensivo

Sono parti civili nel processo la Regione Calabria, il Comune di Perugia,  Giovanni Notarianni e la società Alberghi del Mediterraneo srl, questi ultimi due rappresentati dall’avvocato Michele Gigliotti, Unicredit spa e la Corte di appello. Lungo l’elenco del collegio difensivo, del quale fanno parte tra gli altri gli avvocati Salvatore Staiano, Vincenzo Cicino, Vincenzo La Rocca, Gregorio Viscomi, Paolo Carnuccio, Elisabetta Gualtieri, Antonio Cozza, Mario Nigro, Mario Prato, Luigi Falcone, Giuseppe Fonte, Pietro Funaro, Giovanni Scarpino, Tiziana Paletta, Francesco Calabrò, Domenico Russo, Pietro Pitari, Salvatore Iannone, Daniele Pinto, Maria Claudia Conidi, Francesco Gambardella, Giuseppe Bagnato e Lucio Canzoniere. 

I reati contestati

Gli imputati sono accusati di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e occultamento di armi clandestine, minacce, violenza privata, ma anche associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie di reati di natura contabile o economico-finanziaria strumentali alla realizzazione sistematica di frodi in danno del sistema bancario,

La Malapianta e gli imprenditori vessati

Dall’attività investigativa si è accertato che, oltre al dominio incontrastato del traffico di droga fra le province di Crotone e Catanzaro e l’usura praticata nei confronti di diversi imprenditori anche nel nord Italia, la “locale di San Leonardo di Cutro” da anni  avrebbe esercitato la sua criminale influenza sulla gestione dei villaggi turistici nel territorio sottoposto al suo controllo, attraverso una costante vessazione posta in essere con l’imposizione di proventi estorsivi, di assunzioni di lavoratori vicini alla consorteria ‘ndranghetista nonché di fornitori di beni e servizi anch’essi graditi alle cosche annullando, di fatto, ogni forma di libero mercato e di concorrenza. Gli enormi proventi illeciti venivano riciclati anche mediante investimenti nei settori della ristorazione, dell’edilizia e delle stazioni di rifornimento carburante. La cosca San Leonardese avrebbe agito in rapporti di dipendenza funzionale con la cosca Grande Aracri, egemone sulla provincia.

Il timore del clan verso la Dda di Catanzaro e il nemico da abbattere

Le indagini su Malapianta hanno consentito di comprendere come il capo cosca di San Leonardo, Alfonso Mannolo, e i suoi sodali avessero timore sia delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che dei magistrati inquirenti di Catanzaro. In un’intercettazione, la ‘ndrangheta paragona Gratteri a Falcone, definendolo “un morto che cammina”. “Guaglio uno di questi… uno… na botta… uno di questi è ad alto rischio ogni secondo… Un morto che cammina… Eh… Falcone come è stato. Quando ha superato il limite… Se lo sono cacciato!!!”, interloquendo anche sul luogo di domicilio di Nicola Gratteri: “Ma questo dove abita…? A Catanzaro? Ma questo ha tutti posti segreti”. “Vabbè volendo. Lo scoprono!!”. Nel blitz “Infection”, l’operazione coordinata dalla Dda di Catanzaro e  di Reggio Calabria, è emerso come il magistrato è tenuto sotto osservazione dai clan. “E’ stato in America, le indagini sono partite da lì, dall’America … per andare in Colombia … ma perché li hanno presi a tutti di quelle zone di Reggio Calabria, tutti lui li ha fatti prendere … Gratteri. E adesso è passato dalle parti di Crotone … di Catanzaro”. E in una conversazione tra Antonio Ribecco, ritenuto il referente del boss Cosimo Commisso a Perugia dove è arrivato da Cutro, e suo fratello Natale risalente a fine maggio del 2017, si fa chiaro riferimento a un attentato contro il procuratore capo. “Però… però quattro o cinque anni fa… l’hanno fallito (l’attentato ndr). Stava andando a Crotone… per lui avevano trovato pure i cosi… o si sono spaventati…”.

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