Accuse ridimensionate dalla seconda sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria nei confronti di diversi imputati coinvolti nel procedimento penale scaturito dall’operazione “Magma” contro il clan Bellocco e le sue ramificazioni in Lazio, Emilia Romagna e Lombardia. Per dodici di loro cade il reato principale, quello di associazione mafiosa sul quale si reggeva l’impianto accusatorio costruito dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Pena quindi in gran parte rideterminate rispetto alla sentenza di primo grado del filone celebrato con il rito abbreviato che si era concluso con 29 condanne e 2 assoluzioni.
La sentenza d’appello
La sentenza d’appello
I giudici hanno ritenuto innocenti per non aver commesso il fatto Antonio Pronestì e perché il fatto non sussiste Vincenzo Pellegrino. Non ha retto l’associazione mafiosa per Carmelo Aglioti, Domenico Bellocco (classe 1976), Umberto Bellocco, Domenico Bellocco (classe 1980), Vincenzo Italiano, Francesco Corrao, Antonio Loprete, Giuseppe Loprete, Natale Martorano, Domenico Mercuri, Francesco Morano e Domenico Scandinaro. Pena ampiamente ridotta a Bruno Gallace (difeso dagli avvocati Vincenzo Cicino e Raffaella Graziani) assolto dall’accusa più grave, quella di associazione (per la quale aveva preso venti anni in primo grado) e condannato a 8 anni e 8 mesi per un reato fine. Esclusa per tutti l’aggravante mafiosa contestata in relazione al traffico di sostanze stupefacenti. Inevitabile la rideterminazione delle condanne inflitte dal gup nel primo grado di giudizio. Il verdetto della Corte d’Appello ha dunque registrato pene variabili tra uno e venti anni. In particolare: 12 anni di reclusione per Carmelo Aglioti; 20 anni per Domenico Bellocco (classe 1976); 5 anni e 4 mesi per Domenico Bellocco (classe 1980); 4 anni, 5 mesi e 10 giorni per Umberto Bellocco; 4 anni, 5 mesi e 10 giorni per Salvatore Celini; 20 anni per Francesco Corrao; 8 anni e 8 mesi per Bruno Gallace; 19 anni e 4 mesi per Vincenzo Italiano; 4 anni per Antonio Loprete; 20 anni per Domenico Mercuri; 20 anni per Francesco Morano; 7 anni, 1 mese e 10 giorni per Antonio Orani; 2 anni e 8 mesi per Giuseppe Pirrotta; un anno per Domenico Scandinaro; 4 anni, 5 mesi e 10 giorni per Bujar Sejdnaj. I giudici hanno applicato nei confronti di Caterina Mosciatti la pena concordata a 4 anni e 4 mesi di reclusione con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni in luogo di quella perpetua disposta in primo grado.
Soddisfazione è stata espressa dall’avvocato Luca Cianferoni che con i colleghi Mariangela Borgese, Mara Campagnolo, Antonio Papalia, Giacomo Iaria e Nicola Rao ha difeso i due Domenico Bellocco, Umberto Bellocco (classe ’91) e Domenico Scandinaro. “La sentenza – sottolinea il legale – è realmente significativa sotto il profilo di una lettura secondo materialità e offensività del reato associativo mafioso, come prescritto dalle Sezioni Unite Modafferi. In attesa della motivazione, può tuttavia ritenersi sin da adesso che anche per la ipotesi associativa ex art.74 dpr 309/90 siano molti i profili meritevoli di ricorso in sede di legittimità”.
L’inchiesta “Magma”
Il processo “Magma”, nato da un’inchiesta coordinata anche dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Gaetano Paci, aveva portato nel 2019 all’arresto di 45 persone accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale di droga, detenzione di armi e rapina aggravata. Stando alle indagini della Guardia di finanza, il gruppo riusciva a importare la cocaina dall’Argentina e dal Costarica. Per il trasporto veniva utilizzata la tecnica del rip-off. In sostanza la droga veniva nascosta all’interno di borsoni che poi venivano occultati nei container. Secondo gli investigatori all’epoca l’inchiesta avrebbe disarticolato il clan Bellocco di Rosarno e i suoi “tentacoli” extra regionali, attive in particolar modo nel Lazio, in Emilia Romagna e in Lombardia. Gli imputati erano accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, traffico internazionale di sostanze stupefacenti, detenzione di armi e rapina, aggravati dall’utilizzo del metodo mafioso e della transnazionalità del reato.