Rapporto Istat 2023, chi nasce povero resta povero

Un ragazzo su due è in difficoltà. Tra i 25 e i 29 anni un giovane su quattro non studia e non lavora. Numeri più alti al Sud Italia
povertà famiglie

31esima edizione del Rapporto annuale dell’Istat, presentata questa mattina a Roma, racconta a situazione a luci e ombre: è terminato lo stato di emergenza sanitaria legato al Covid, ma il rincaro dei prezzi delle energie e delle materie prime hanno alzato i costi di produzione delle imprese i prezzi al consumo delle famiglie. È proseguita la ripresa del Pil, con un aumento in media d’anno del 3,7%, ma nel 2022 quasi 1 giovane su 2 (47,7% dei 10 milioni e 273mila 18-34enni) mostra almeno un segnale di deprivazione in uno dei domini chiave del benessere: istruzione e lavoro, coesione sociale, salute, benessere soggettivo, territorio. Mentre più di 1,6 milioni (pari al 15,5% dei 18-34enni) sono multi-deprivati, ovvero mostrano segnali di deprivazione in almeno 2 domini. I livelli di deprivazione appaiono più alti nella fascia di età 25-34 anni, la più vulnerabile, costituita da coloro che entrano nella fase adulta della vita e che si trovano ad affrontare tappe cruciali quali l’ingresso nel mercato del lavoro, l’uscita dalla famiglia di origine, l’inizio di una vita autonoma, la formazione di una unione, la scelta di diventare i genitori.

La povertà si eredita

La povertà si eredita

Un fattore particolarmente preoccupante tra quelli evidenziati dall’Istituto nazionale di statistica è la trasmissione intergenerazionale della povertà, più intenso che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea: in Italia quasi un terzo degli adulti tra i 25 e i 49 anni a rischio di povertà, proviene da famiglie che versavano in condizioni finanziaria critica. Alcune delle voci di spesa pubblica rivolte a bambini e ragazzi sono poi più basse rispetto a quelle dei paesi europei. La spesa pubblica per istruzione in rapporto al Pil mostra il minore impegno del nostro paese rispetto alle maggiori economie dell’Ue27 (4,1% del Pil in Italia nel 2021 contro il 5,2 in Francia, il 4,6 in Spagna e il 4,5 in Germania) e in generale rispetto alla media dei paesi Ue27 (4,8%). Inoltre, l’Italia spende per le prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori una quota rispetto al Pil molto esigua, pari all’1,2% a fronte del 2,5% della Francia e del 3,7% della Germania.

Lavoro, istruzione e donne

Nella classe di età 30-34 anni, per la quale si possono considerare conclusi anche i percorsi di studi post-laurea, il 12,1% delle persone dichiara di non aver mai lavorato. Tale incidenza varia molto per genere, territorio e soprattutto livello di istruzione. L’effetto positivo del titolo di studio si rileva soprattutto tra le donne (non ha mai lavorato il 7,5% delle 30-34enni laureate contro il 38,3 per cento delle coetanee con al più la licenza media) mentre è molto più ridotto tra gli uomini (6,2 rispetto a 8,5%). La mancanza di esperienza di lavoro rende difficile un successivo inserimento, con il rischio di rimanere esclusi o di dover accettare lavori meno qualificati. L’istruzione ha un ruolo particolarmente importante nel favorire l’occupazione femminile: il tasso di occupazione delle laureate di età 25-64 anni è più del doppio di quello delle donne con al massimo la licenza media (80,2% contro 36,3 per cento). D’altra parte la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è molto legata ai carichi familiari, alla disponibilità di servizi per l’infanzia e la cura dei minori e dei membri della famiglia più fragili (persone disabili, persone non autosufficienti, anziani), oltre che ai modelli culturali. Nel 2022, il tasso di occupazione delle 25-49enni è l’80,7% per le donne che vivono da sole, il 74,9% per quelle che vivono in coppia senza figli e il 58,3% per le madri. Anche in questo caso, il divario a sfavore delle madri rispetto alle donne senza figli si riduce sensibilmente per le donne con un più elevato titolo di studio. Per le laureate, il tasso di occupazione è superiore al 70%, indipendentemente dal ruolo in famiglia (tranne quello di figlia)

Il fenomeno Neet

Anche per quanto riguarda il fenomeno dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, le più colpite sono le ragazze (20,5%) rispetto ai coetanei maschi (17,7%). La fascia di età più interessata è quella tra i 25 e i 29 anni (un giovane su quattro è Neet), i residenti nelle regioni del Mezzogiorno sono il 27,9% e gli stranieri il 28,8% superiore a quello degli italiani 15-29enni di quasi 11 punti percentuali, una distanza che raddoppia nel caso delle ragazze: 37,9% contro 18,5%. (Redattore Sociale)

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