Reggio Calabria, utilizzavano farmaci oncologici guasti o senza consenso: ecco i nomi dei medici indagati

Il gip Karin Catalano ha disposto il divieto di esercizio della professione medica per 12 mesi per due di loro. Proseguono le indagini
Alzheimer

Somministrazione di farmaci guasti, falsità materiale e ideologica, abuso d’ufficio e truffa. Sono i reati per i quali, su richiesta della Procura di Reggio Calabria al termine di un’indagine dei carabinieri del Nas, il gip Karin Catalano ha disposto il divieto di esercizio della professione medica per un anno dell’ex primario del reparto di Oncologia del Grande ospedale metropolitano, Pierpaolo Correale, e per il suo vice, Rocco Giannicola.

Ecco gli altri cinque

In tutto sono sette gli indagati nell’inchiesta condotta dai carabinieri del Nucleo Aifa con il coordinamento della Procura guidata da Giovanni Bombardieri. Oltre a Correale e Giannicola sono indagati la direttrice dell’Unità operativa di farmacia del Gom, Maria Altomonte, il responsabile dell’Unità farmaci antiblastici, Antonio Nesci, il dirigente medico del reparto di oncologia, Domenico Azzarello, il presidente dell’associazione “Ri-uniti Calabria”, Francesco Provenzano, e la psicologa collaboratrice del reparto di Oncologia, Mariangela Polifrone. Le indagini, andate avanti da marzo 2021 a dicembre 2022, sono partite dalla denuncia di un dirigente medico che aveva rilevato anomalie sul diario clinico di un paziente. Le intercettazioni telefoniche e ambientali, una complessa attività peritale e il sequestro e l’analisi di oltre 300 cartelle cliniche hanno confermato i sospetti.

La denuncia di un dirigente

I carabinieri avrebbero accertato che i medici interdetti, tra il 2017 ed il 2018, avrebbero somministrato a 13 pazienti per terapie e protocolli sperimentali senza autorizzazione o per patologie diverse da quelle previste nelle linee guida e senza un adeguato consenso dei pazienti. In concorso con Altomonte e con Nesci, Correale e Giannicola avrebbero attestato nel registro Aifa, predisposto per i farmaci innovativi, dosaggi superiori del Nivolumab rispetto a quelli somministrati e patologie differenti da quelle reali, per ottenere a spese dell’Erario quantitativi maggiori del farmaco poi dispensato a pazienti cui non spettava la rimborsabilità. I due lo avrebbero fatto anche per divulgare i risultati delle prassi cliniche tramite pubblicazioni scientifiche, così da accrescere la loro reputazione professionale per attrarre società farmaceutiche ed organizzatori di convegni.

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