di Danilo Colacino – Una pantomima degna di una stucchevole ‘ingiallita’ soap opera di…serie B del periodo compreso fra gli anni Settanta e Novanta.
Nemmeno Beatiful, però.
Nemmeno Beatiful, però.
Iniziata nel comunque lontano 1987.
Più una roba simile alle produzioni sudamericane con quelle trame, spesso un po’ sconclusionate, delle quali era protagonista l’allora davvero avvenente Grecia Colmenares.
Ambientazioni approssimative e magari doppiaggio in italiano fuori sincrono, in sostanza.
Ecco a cosa, a nostro parere, si può accostare la recentissima vicenda dei cosiddetti vitalizi agevolati della Regione Calabria.
Una questione parecchio spinosa su cui i diretti interessati stanno mutando versione ufficiale più rapidamente di quanto magari cambino la camicia nell’uscire da casa.
In prima battuta la legge – peraltro approvata in un battibaleno e modalità bipartisan – è stata disconosciuta da pochi dei moltissimi ‘favorevoli in Consiglio’ appellatisi a una strana mancata lettura del testo definitivo o persino alla distrazione (già di per sé ammissioni di colpa grave per un membro superpagato di un consesso elettivo del livello dell’assemblea regionale).
Poi – tanto più diffusamente, per la verità – si è parlato in via del tutto singolare di un presunto errore di valutazione e infine è spuntata la tesi del “vizio formale” che, oltretutto, ha costretto chi di competenza alla convocazione di una seduta straordinaria e urgente per ritirare la norma pro Casta, varata in virtù di una sorta di autodichia dell’assise di Palazzo Campanella in materia.
Come dire, riassumendo in breve: la posizione iniziale di qualcuno è stata: “Sì d’accordo, sono stato superficiale ma tanto correremo subito ai ripari; la seconda fase, invece, si è basata sulla condivisione allargata dell”inopportunità della decisione e quindi sulla necessità di rimediare presto allo sbaglio mentre il terzo step – il più improbabile per quanto ci riguarda – è stato incentrato sul refrain “La norma va ritirata per questioni meramente tecniche. Tutto qui”.
Fatti avvenuti – si stenta a crederlo – nel volgere di appena una manciata di giorni.
La sintesi, sempre nostra come ovvio, è l’affannosa rincorsa a giustificare l’ingiustificabile di volta in volta trovando il modo migliore per uscirne bene e riuscire a salvare la faccia, se possibile, ritenendo che l’inconsueta “attestazione del pentimento” non accolta in maniera positiva dall’opinione pubblica andasse abbastanza alla svelta accantonata.
Ma c’è un aspetto di questa intricata matassa – nient’affatto edificante – che ci stupisce (o forse no!): le lamentazioni di quanti hanno combinato un tale “Pap’occhio” di arboriana memoria (pastrocchio o obbrobrio, meglio) di fronte al dito puntato dalla gente.
‘Tragicomico’ tentativo di autodifesa, insomma.
È proprio vero… “che s’ha da fa’ pe’ campa’”.