Dopo cinque ore di camera di consiglio la Corte di assise appello di Catanzaro, presidente Caterina Capitò, a latere Domenico Commodaro, ha sentenziato due sconti di pena, confermando tre condanne per i cinque imputati, giudicati con rito abbreviato coinvolti nell’inchiesta della Dda, nome in codice “Reventinum”. Un’indagine che ha inferto un duro colpo a capi e gregari della cosca del “gruppo storico della montagna”, operante nella Sila Catanzarese e comprendente i territori di Soveria Mannelli, Decollatura, Platania, Serrastretta e zone limitrofe, ricostruendo la faida tra le cosche rivali dei Mezzatesta e degli Scalise. Regge l’associazione, ma i giudici di secondo grado hanno assolto Pino Scalise dall’accusa di essere il mandante del noto penalista Francesco Pagliuso, incassando una condanna a 23 anni, 10 mesi e 20 giorni di reclusione, una pena di gran lunga inferiore rispetto al carcere a vita inflittogli in primo grado. Ridotta la pena anche per Andrea Scalzo, condannato a 7 anni di reclusione, (il magistrato della Dda per lui aveva invocato davanti ai giudici la correzione per un errore di conteggio, invocando 7 anni in luogo degli 8 inflittigli in primo grado, “ma per errore materiale”, senza chidere alcuna riforma di pena). Resta invariato il verdetto sentenziato il 18 giugno 2021 dal gup Piero Carè nei confronti di Luciano Scalise, condannato all’ergastolo per l’associazione e per essere il mandante dell’omicidio Pagliuso, ucciso il 9 agosto 2013 mentre si trovava a bordo della sua auto appena parcheggiata nel giardino della sua abitazione lametina, Angelo Rotella, 8 anni e 4 mesi e per Vincenzo Mario Domanico, 6 anni di reclusione.
Le accuse contestate
Le accuse contestate
Gli imputati rispondono a vario titolo di associazione a delinquere di tipo mafioso, sequestro di persona, omicidio, estorsione, danneggiamento, violenza privata. Avrebbero inoltre minacciato di morte imprenditori sotto il cappio continuo delle estorsioni, costretti a cedere l’affidamento delle commesse di lavori alla ‘ndrangheta o ad effettuare sconti privilegiati su merce, materiali o piante, a volte obbligati a darli gratuitamente.
La scissione e gli omicidi
Per la Procura distrettuale, le due fazioni sarebbero nate dalla scissione del “Gruppo storico della montagna”, dopo l’attentato subito da Pino Scalise nel 2001, cui ha fatto seguito una lunga scia di sangue iniziata nel gennaio del 2013 con il duplice omicidio, commesso a Decollatura, di Francesco Iannazzo e Giovanni Vescio (per il quale sono stati condannati in via definitiva Domenico e Giovanni Mezzatesta), proseguita con gli omicidi di Daniele Scalise e di Luigi Aiello e infine con gli omicidi dell’avvocato Francesco Pagliuso e di Gregorio Mezzatesta.
Il sequestro di persona e le minacce
Secondo le originarie ipotesi della Procura distrettuale Antimafia di Catanzaro, Pino Scalise, in concorso con i defunti Daniele Scalise, Francesco Iannazzo e Giovanni Vescio, avrebbe privato della libertà personale il noto avvocato penalista Francesco Pagliuso, conducendolo, contro la sua volontà, in un bosco in una zona montana del Reventinum. I quattro l’avrebbero incappucciato, malmenato e trascinato di fronte ad una buca scavata con un mezzo meccanico, minacciato di essere scaraventato in quel fosso, senza che il suo corpo potesse più essere ritrovato.
Verso la Cassazione
I legali difensori Stefano Nimpo, Piero Chiodo, Lucio Canzoniere, Sergio Vianello Accoretti e Antonio Larussa attenderanno di conoscere le motivazioni della sentenza, che verranno depositate entro 90 giorni, per ricorrere in Cassazione