“Mai ricevute mazzette da Giovanni Giamborino”. Filippo Nesci, ex comandante della Polizia municipale di Vibo, ed ex dirigente all’urbanistica di palazzo Luigi Razza, lo ribadisce nel corso di una delle ultime udienze di Rinascita-Scott dove risulta imputato per la vicenda relativa alla realizzazione di un palazzo, nei pressi dell’ospedale di Vibo, sorto su reperti archeologici, commissionato dalla famiglia Giamborino ma del quale la Dda ritiene vi siano dietro le figure di Luigi Mancuso e Saverio Razionale. Compulsato dalle domande del pm Antonio De Bernardo, Nesci ha ricordato di aver prestato servizio nel settore Urbanistico del Comune dal gennaio 2015 all’aprile 2017. “Appena venni nominato il Comune era in dissesto e quindi tutti i dirigenti a contratto erano decaduti e l’ente si era così ritrovato in una situazione deficitaria, soprattutto dal punto di vista della dirigenza tecnica in quanto eravamo rimasti io e la collega Teti, a cui ero succeduto all’Urbanistica e che era colei la quale aveva firmato il permesso a costruire già in variante su cui quello successivo da me seguito si era inserito con un’ulteriore variante che era tuttavia riduttiva da un punto di vista stilistico”.
L’immobile oggetto del processo
L’immobile oggetto del processo
Per l’ex dirigente municipale, la pratica di questo immobile “riconducibile ai Giamborino venne aperta l’8 giugno del 2016, il 14 giugno fu prorogato dal sindaco il mio incarico di dirigente con l’assegnazione del settore urbanistica, il 16 e firmai assegnazione della pratica stessa; il 30 giugno l’architetto Giuseppina Eulilli, nominato Rup, spedì una raccomandata ai committenti dell’opera (i fratelli Benedetta, Rosa e Salvatore Giamborino) contenente una richiesta di integrazione documentale e il 18 luglio la stessa riscontrò la richiesta; il 21 luglio decretai la stessa nuovamente al Rup e pertanto l’istruttoria proseguì fino al suo completamento; l’1 agosto ci fu il parere favorevole, che di fatto chiuse questa parte del procedimento. Il 18 agosto, infine, fu avanzata istanza degli oneri di urbanizzazione per perfezionare la pratica e poi venne avanzata una nuova istanza di pagamento degli oneri stesso e il 18 novembre terminò definitivamente tutto il percorso con la triplice firma apposta dal responsabile dell’Ufficio controlli, Eduardo Paladino, dell’architetto Eulilli, soggetto che aveva reso il parere dell’Ufficio Istruzione pratiche, e del sottoscritto in qualità di dirigente del settore”.
Permesso a costruire ottenuto nel 1987
Nesci ha quindi ricordato che il committente “aveva ottenuto nel 1987 un permesso a costruire, poi un provvedimento di vincolo durato per un certo numero di anni, presentano una nuova istanza di permesso a costruire in variante, concesso con firma della dottoressa Teti, e per ragioni stilistiche ne presentano una terza. I lavori non erano mai iniziati, di conseguenza, avendo loro ritirato il permesso a costruire prima del mio insediamento all’Urbanistica, avvenuto il 29 gennaio 2015, presentano una nuova variante. Il perché non lo so. Si trattava di un parcheggio nel seminterrato, di un negozio al piano terra e non so se appartamenti o un hotel nei piani superiori”. L’imputato ha quindi riferito come nel momento in cui venne nominato dirigente chiese “ai dipendenti di essere reso edotto su tutte le pratiche, sulle firme delle stesse, sui permessi a costruire, e su molto altro ancora” e che la pratica dell’immobile prevedeva un termine di 90 giorni per la sua evasione altrimenti sarebbero scattate delle sanzioni ma in questo caso durò 160, “ma non vi furono ragioni particolari del protrarsi oltre il termine ordinario, appuro che c’erano nella parte terminale difficoltà economiche della famiglia Giamborino anche per pagare le rate degli oneri di urbanizzazione. Tutto l’incartamento verteva su un dato: il rispetto dei vincoli della Sovrintendenza”.
La conoscenza con Giovanni Giamborino
Nesci ha poi riferito di non aver mai conosciuto i committenti ma di aver conosciuto il padre, vale a dire l’imputato Giovanni Giamborino, nel marzo 2010 quando prese servizio al Comune di Vibo come comandante dei vigili urbani imbattendosi “in una pratica di noleggio con conducente, da utilizzare nel comune di Roma, riconducibile alla moglie di quest’ultimo, Santina Russo, che chiedeva il trasferimento della licenza a Salvatore Giamborino; ma questa presentava il problema dell’assenza dell’autorimessa e pertanto con apposita mia firma decretai che non poteva essere evasa rendendo edotto Giamborino che si presentò un giorno al comando. Poi, con la riforma dello Sportello unico delle Attività produttive (Suap), questa pratica, e tutte le altre simili, furono trasferite lì; l’allora dirigente Teti successivamente la ritrasferì a noi e da lì in poi se ne persero le tracce”. In quel frangente “Giamborino non rimase certo contento perché sarebbe andato a perdere committenze importanti in una città come la Capitale. Chiese spiegazioni ma non potevo dire di sì. Sono stato abituato a dire spesso “no” e questo ti porta antipatie, disagi”.
L’incontro con Giamborino
Un “giorno di luglio del 2016 incontrai Giamborino in uno degli uffici e mi fece capire di aver presentato la documentazione e che questa era dei figli e da lì ho avuto contezza che quel progetto era riconducibile alla sua famiglia. Con lui non ho mai parlato del merito della vicenda né della tempistica per l’evasione della variante. L’unica cosa di cui parlammo una sola volta era legato al vincolo della Sovrintendenza sulla realizzazione dei parcheggi della quale pochi giorni dopo viene consegnato il parere favorevole”, ha affermando, riferendo poi di aver declinato l’offerta dell’imputato “relativamente ad una vacanza a Forlì presso l’hotel del figlio” e negando di aver “mai ricevuto offerte di denaro” in relazione alla vicenda che lo vede imputato; dal novembre del 2016 “non l’ho più incontrato tranne in occasione di notifiche di provvedimenti del codice stradale o in occasione della presentazione della pratica per l’occupazione del suolo pubblico”. Successivamente ha chiarito di non aver “mai chiesto a Giamborino alcuna disponibilità di una abitazione a Forlì e io non sapevo che avesse una casa lì”, ha affermato specificando, in conclusione di esame, di non aver “mai riconosciuto Giamborino come soggetto appartenente alla criminalità organizzata perché non c’erano cronache giudiziarie sulla sua persona e pertanto non avevo elementi per fare una valutazione”.
Il controesame
In sede di controesame le domande sono state poste dal legale di Nesci, l’avvocato Diego Brancia, alle quali l’imputato ha risposto precisando che “l’iter per il rilascio del permesso a costruire si completa con il perfezionamento degli oneri di urbanizzazione, perfezionati sulla base degli accordi che si raggiungono o con una rateizzazione, per come previsto per legge”. Nel caso in questione, in prossimità del ritiro della concessione edilizia, quindi verso novembre 2016, “venne da me Pietro Giamborino (l’ex consigliere regionale, cugino di Giovanni, ndr), che conoscevo da tempo, chiedendomi se si potesse procedere a dilazionare il pagamento dell’unica rata in immediato perché c’erano delle difficoltà economiche della famiglia del congiunto. Io risposi che ciò non era previsto per legge e quando lui insistette io mi adirai e in modo brusco lo allontanai. Tra l’altro, il mancato pagamento della prima rata – ha rilevato ancora l’ex dirigente municipale – non può legittimare il rilascio a costruire perché è parte integrante dell’istruttoria”. (f.p.)