Rinascita Scott, i retroscena dell’omicidio Muzzupappa e la spaccatura tra i Mancuso

Il collaboratore di giustizia Pasquale Megna svela i particolari del delitto compiuto in un bar di Nicotera Marina e racconta le "meschinate" alla sua famiglia

Li chiama “meschinate” e sono alla base dell’omicidio di Giuseppe Muzzupappa, il pregiudicato ucciso in un bar di Nicotera Marina a fine novembre dello scorso anno. A sparare è stato Pasquale Megna che dallo scorso mese di febbraio è un collaboratore di giustizia. I primi verbali ricchi di omissis sono confluiti nel maxi-processo “Rinascita Scott” e tra le 119 pagine ricche di omissis il neo-pentito confessa di essere l’assassino di Muzzupappa. “Quel giorno in cui sono entrato nel bar a Nicotera non avevo intenzione di uccidere Muzzupappa” ha sottolineato. “Avevo però la pistola con me perché ormai mi dovevo ‘guardare’ ma sapevo bene che i miei figli avrebbero in ogni caso perso un padre: lo avrebbero perso perché rischiavo ogni giorno di essere ucciso da loro, oppure perché uccidendo io qualcuno di loro, sarei finito in carcere. Posso dire che solo quando uscivo con mia moglie ed i miei figli ero ‘immune’, perché non sarebbero arrivati al punto di fare qualcosa alla presenza di una donna e dei bambini. Si tratta di una storia che va avanti da almeno 11 anni ma anche da prima della morte di Mimmo Campisi, padre di Totò”.

La spaccatura all’interno del clan Mancuso

La spaccatura all’interno del clan Mancuso

Megna aveva paura di essere ucciso e come suo fratello girava armato di pistola. La situazione era diventata insostenibile: “Con Muzzupappa si trattava solo di una questione di tempo e qualcuno sarebbe morto, o io o lui (…) Si doveva girare armati per evitare di essere assassinati. Ho più volte mandato ‘imbasciate per dire che potevamo stringerci la mano, o anche rimanere nemici e non parlarci e non salutarci, ma che non era il caso di andare avanti così.. Come risposta avevo ricevuto da Muzzupappa la seguente espressione: ‘Digli che come li vedo li sparo, a lui, al fratello ed al padre'”.  L’astio tra i due è il contorno di una vicenda ben più ampia che ha origine in una spaccatura all’interno della cosca Mancuso. Da una parte il gruppo dei Campisi-Cuturello di cui faceva parte Muzzupappa, dall’altra i due Luni Mancuso, l’Ingegnere e Scarpuni, quest’ultimo zio di Megna. I primi erano intenzionati a vendicare l’omicidio di Domenico Campisi avvenuto nel giugno del 2011 e attribuito proprio ai due cugini Mancuso.

“Meschinate alla mia famiglia”

In uno dei suoi appunti consegnati alla Dda di Catanzaro Megna parla di “meschinate fatte alla mia famiglia da Totò Campisi, Muzzupappa Giuseppe, Alfonso Cuturello, Giovanni Rizzo, Ciopati Salvatore, Cuturello e Mico Nichi solo per fare il dispetto ai due Luni”. Le meschinate sono una serie di danneggiamenti che risalgono secondo il racconto del collaboratore di giustizia al 2011-2012. “L’omicidio da me commesso – spiega Megna – si colloca nell’ambito di un quadro che vede due fazioni contrapposte”. Screzi tra famiglie sfociati in dissidi, tensioni, dispetti, liti. Quella che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbe stata il pestaggio compiuto dallo stesso Megna: “E’ stato in realtà – accusa il collaboratore di giustizia – il pretesto grazie al quale Muzzupappa, che faceva parte, del gruppo dei Campisi, voleva colpire me e la mia famiglia per essere vicini e mandare un segnale alla famiglia dell’Ingegnere. Questo perché eravamo considerati loro affiliati e dai Campisi ritenuti coinvolti nell’omicidio di Mimmo Campisi. Quindi una vendetta perpetrata a distanza di anni per quell’omicidio, anni in cui è sempre rimasto l’astio tra le parti e ci sono state solo fasi di “finta pace”.

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