di Mimmo Famularo – Il traffico di droga sull’asse Calabria-Piemonte e il business dello spaccio di marijuana con i Drughi, un gruppo organizzato di tifosi della Juventus. Ruotano lungo queste direttrici i primi verbali del nuovo collaboratore di giustizia Domenico Guastalegname, 29 anni, originario di Vibo Marina. Le sue dichiarazioni fornite al sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo e depositate in “Rinascita Scott” si incrociano con le rivelazioni fornite dal padre, Antonio Guastalegname, imputato nel maxi processo contro la ‘ndrangheta vibonese per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e detenzione di droga.
La trattativa per spacciare droga nello stadio della Juve
La trattativa per spacciare droga nello stadio della Juve
Domenico Guastalegname ha iniziato a collaborare con il pool di magistrati guidati da Nicola Gratteri già la scorsa estate. I primi verbali desecretati risalgono al 15 e al 28 settembre dello scorso anno. Dal loro contenuto emergono importanti elementi proprio sul traffico di sostanze stupefacenti che chiamano in causa Giuseppe Antonio Accorinti, il presunto boss di Zungri, il quale avrebbe avuto un interesse particolare ad avviare la piazza di spaccio ad Asti utilizzando le conoscenze in ambito criminale proprio dei Guastalegname. Il tramite di Accorinti sarebbe stato un altro pezzo da novanta della ‘ndrangheta vibonese, Nazzareno Colace, 59 anni, di Vibo Marina, pluripregiudicato considerato vicino ai Mancuso e coinvolto in diverse inchiesta antimafia. “Nel 2012-2013 – racconta il neo-pentito nell’interrogatorio del 19 settembre del 2022 – è salito ad Asti Nazzareno Colace e so che stava trattando con i Drughi per ‘entrare’ nello stadio della Juventus nel senso che volevano in particolare vendere sostanze stupefacenti alla frangia della tifoseria che è riconducibile alle famiglie calabresi. So che negli stadi c’è un giro di soldi molto elevato, principalmente per gli stupefacenti ma anche per altro come il bagarinaggio e i parcheggi”. La trattativa non era andata comunque a buon fine anche perché Nazzareno Colace fu arrestato nell’ambito dell’operazione Costa Pulita. “Mio padre fu chiamato già in Calabria e fu portato da Ivan Colace (il figlio di Nazzareno ndr) al cospetto di Peppone Accorinti in quanto loro volevano entrare nella tifoseria della Juventus”.
Dalla Calabria al Piemonte in bus: 30 chili di marijuana nel trolley
Secondo quanto riferito agli inquirenti da Domenico Guastalegname in almeno una circostanza la droga sarebbe arrivata in Piemonte via autobus. A trasportarla “sotto vuoto, in della plastica trasparente contenuta a sua volta in delle valige modello trolley” sarebbero stati Valerio Navarra e Rocco Cichello, due “fedelissimi” di Peppone Accorinti. “La droga – ricorda il collaboratore di giustizia – era suddivisa in due pacchi da dieci chili credo. La droga in totale era circa 20 o 30 chili”. Il prezzo fissato per la vendita all’ingrosso della sostanza stupefacente era compreso tra i 2550 e i 3000 euro al chilo. Il pentito racconta anche di una discussione nata con i Drughi per un malinteso proprio sul prezzo della droga e alla vicenda si interessarono anche i Pesce di Rosarno: “Volevano – ricorda Guastalegname – un incontro con Peppone Accorinti. Quindi mio padre contattò Valerio Navarra con il quale concordò un incontro a Pavia al quale partecipai anche io. All’esito dell’incontro Navarra riferì a mio padre che Peppone avrebbe risolto la problematica con i Pesce. Ricordo che, riferendosi a Peppone Accorinti, il Navarra lo chiamava la ‘signora’”. Il padre di Domenico, Antonio Guastalegname voleva andare da Luigi Mancuso per mettere a posto le cose: “In quel contesto – afferma il pentito – Navarra disse a mio padre che la parola di Peppone valeva quanto quella di Luigi Mancuso”.
Luigi Mancuso e la volontà di ‘inculare’ il figlio del carabiniere
Il super boss di Limbadi viene chiamato in causa per un altro episodio, il processo sull’omicidio del tabaccaio di Asti per i quale i Guastalegname, padre e figlio, sono stati condannati in via definitiva a 30 anni di reclusione. “Ho assistito ad una conversazione – racconta Domenico – tra mio padre e Antonio Giuseppe Piccolo nel corso del processo per l’omicidio del tabaccaio di Asti. In quella circostanza Antonio Piccolo riferì a mio padre che per volontà di Luigi Mancuso bisognava incolpare (‘inculare’) Chiesi, il figlio del carabiniere addossando a lui tutte le colpe di quanto accaduto altrimenti sarebbero successe cose brutte”.