Rinascita Scott, i verbali shock del pentito Camillò e il finanziere “infedele”

di Mimmo Famularo – Una scelta “caldeggiata” dalla sorella, maturata nel tempo, già prima dell’arresto. E’ il 20 agosto 2020 e a Rebibbia inizia a collaborare con la giustizia Michele Camillò, 38 anni, figlio di Domenico, ritenuto il “capo-società” della ‘ndrina dei “Pardea-Ranisi”, coinvolto insieme al padre nella maxi-inchiesta “Rinascita Scott”. Di fronte a lui nel carcere romano ci sono il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Antonio Di Bernardo e gli ufficiali dei carabinieri del Ros e del Nucleo investigativo di Vibo che hanno condotto le indagini. “Intendo collaborare con la giustizia – dichiara nel primo verbale – per uscire prima possibile dalla situazione in cui mi trovo e rifarmi una vita. Una scelta che avevo già incominciato a maturare prima dell’arresto e che mi aveva determinato a trasferirmi lontano dalla Calabria”. E’ accusato, tra le altre cose, di essere un affiliato alla ‘ndrina dei “Camillò-Pardea” il nuovo pentito della ‘ndrangheta vibonese, cugino di un altro collaboratore di giustizia, Bartolomeo Arena. Già condannato a tre anni di reclusione in primo grado per detenzione di armi, Camillò spiega di avere il pieno appoggio della sorella. “Anche mio padre Domenico sta scontando – precisa – gli arresti domiciliari (…). Mio padre è ormai anziano e malato, non so se appoggerà la mia scelta e se intenderà fare una scelta analoga, ma ormai la mia decisione è presa”.

I favori del finanziere al socio-occulto

I favori del finanziere al socio-occulto

In tre verbali di interrogatorio datati 20, 27 e 28 agosto e depositati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro nel corso dell’udienza preliminare di “Rinascita Scott”, il neo-collaboratore di giustizia racconta dell’affiliazione alla ‘ndrangheta nel febbraio del 2013 nella casa di Bartolomeo Arena fino alla sua decisione di lasciare la Calabria per trasferirsi in Puglia dove verrà arrestato il 19 dicembre scorso nel corso del blitz “Rinascita Scott”. Fa nomi e cognomi di ogni componente delle ‘ndrine vibonesi: boss, sodali, gregari. Racconta e si auto-accusa dei vari danneggiamenti commessi da affiliato;  rivela i retroscena di sparatorie, risse, estorsioni e attriti tra i vari gruppi criminali presenti a Vibo. Non mancano gli omissis. Un paio prefigurano scenari inquietanti e chiamano in causa un finanziere. “Ha avvisato – rivela agli inquirenti riferendosi al militare “infedele” – mediante mail a Panetta Costantino (socio occulto di Camillò n.d.r.) che stavano per eseguire una perquisizione a sua carico, notizia che gli ha consentito di spostare tutti i proventi delittuosi e le prove documentali. So che il Panetta praticava l’usura, ogni tanto si sfogava con me quando le sue vittime non pagavano il denaro pattuito. Quest’ultimo e il predetto finanziere erano molto amici… omissis… Inoltre il Panetta gli forniva della cocaina che acquistava da Mommo Macrì e gli veniva personalmente consegnata dal fratello di Michele Macrì mentre in altre occasioni la prendeva da Arena. L’amicizia vantata dal Panetta con il finanziere gli consentiva di mantenere la propria autofficina non in regola senza subire controlli. Inoltre Panetta veniva illegalmente rifornito dal finanziere di nicotina, che lo stesso trattava presso il negozio che gestivamo insieme e per tale motivo ho preso una multa di circa 50mila euro”.

L’ombra dei clan sulle elezioni comunali

Sui rapporti tra la ‘ndrangheta vibonese e gli esponenti politici o dell’Amministrazione comunale di Vibo, Camillò ricorda un episodio in particolare legato alla candidatura a consigliere del cognato. “La mia famiglia si attivò per procacciargli dei voti in ambito delle conoscenze familiari (…). All’esito delle elezioni mio cognato non fu eletto per una manciata di voti. Non ricordo di quale lista faceva parte”. Il collaboratore di giustizia getta comunque ombre sulle ultime elezioni comunali di Vibo e fa il nome di un candidato poi eletto a palazzo “Luigi Razza” tra le file della maggioranza che sostiene l’attuale sindaco Maria Limardo. “Tutti i ‘Lo Bianco-Barba’ si impegnarono nel procacciamento di voti in suo favore. In un’occasione a chiedere il voto “furono – rivela agli inquirenti – i sodali Prestia Domenico e Pardea Carmelo, ma io risposi che sto sostenendo già la campagna elettorale per mio cognato che era candidato”.

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