Rinascita Scott, il collaboratore di giustizia Pulice: “Nel carcere di Catanzaro comandavo io”

di Gabriella Passariello- Da ‘ndranghetista a collaboratore di giustizia. Il pentito lametino Gennaro Pulice, chiamato in qualità di teste nell’ambito del processo Rinascita Scott ha spiegato le motivazioni che lo hanno portato a cambiare la sua vita, decidendo di collaborare con la giustizia. “Sono nato in un ambiente di ‘ndrangheta, facevo parte della cosca Cannizzaro-Iannazzo- Daponte, dove vigeva la legge della vendetta, indottrinato alla criminalità organizzata, con l’unico obiettivo di vendicare la morte di mio padre Antonio, freddato in seguito ad una faida con la famiglia Bellocco”. Una guerra nata da contrasti sui sequestri di persona avvenuti in Lombardia: “ho ucciso Salvatore Belfiore, lo stesso giorno in cui hanno ucciso mio padre, come mi hanno fatto ricordare la morte di mio padre, nemmeno loro dovevano dimenticare Belfiore”. Ha riferito al pm della distrettuale Annamaria Frustaci e ai giudici del collegio, di essere diventato camorrista di sgarro a 17 anni. “Si dovrebbe salire di grado per tappe, dalle azioni delittuose agli omicidi, visione ormai anacronistica, io non ho avuto la dote del picciotto, perché quando ero diventato camorrista di sgarro avevo compiuto già più di un omicidio quindi avevo già dato prova del mio valore”. La sua famiglia voleva che diventasse killer, ma anche che studiasse, perché la ‘ndrangheta moderna vuole persone capaci di addentrarsi camaleonticamente nel tessuto sociale.

“Il disegno per l’autonomia di Lamezia”

“Il disegno per l’autonomia di Lamezia”

Il collaboratore di giustizia ha spiegato i dissidi tra le cosche lametine e quelle reggine, spiegando che le prime volevano gestire i sequestri in maniera diversa rispetto alle seconde, aggiungendo che: “Lamezia dopo la morte del capo Egidio Muraca, il materazzaro, per un po’ di tempo non ha avuto una locale, ma era dipendente delle cosche di San Luca”. L’obiettivo era quello di creare a Lamezia compartimenti impermeabili, in modo tale che ciascun settore non era tenuto a dare spiegazioni ad altri comparti, un escamotage per “proteggersi dai pentiti”. Fino al 2015 Lamezia non è riuscita ad affrancarsi dalle famiglie reggine. Il progetto di renderla autonoma dalla casa madre reggina era voluto da diverse famiglie: Trapasso, Cossari, Scumaci, Mannolo, Grande Aracri, Villirillo, Arena, Nicoscia,  Cannizzaro Daponte, Giampà e Torcasio. Riferendo dei lavori sulla Salerno-Reggio Calabria, la gestione era divisa, da un lato i Iannazzo e dall’altra i Mancuso e ciascuno metteva a lavorare le famiglie di competenza per evitare danneggiamenti. Per la famiglia Iannazzo, l’imprenditore Mazzei e per i Mancuso c’era Puntoriero, mentre a Nord c’era il gruppo Lanzino Ruà. I legami della famiglia Iannazzo con Mancuso sono storici soprattutto con la figura di Damiano vallelonga. Poi il pentito ha spiegat che  tra Lamezia e Vibo c’è un piccolo territorio gestito da Rocco Anello, che spesso faceva da cerniera tra cosche lametine e vibonesi, alcuni villaggi ricadono tra quei territori e ricadono sotto gli anello sotto il placet dei Mancuso. Pulice prima di diventare camorrista di sgarro, aveva ricevuto la dote di sgarrista definito, che ha anche una funzione organizzativa e di gestione degli omicidi. Una marcia in più rispetto allo sgarrista semplice, perché “si decide chi muore per prima o chi non doveva pagare un’estorsione. Poi sono riuscito a ricevere la dote di Santista e in copiata c’erano Carmine Arena, di Isola, Leo Mollica di Africo, Nicodemo Guerra di Cirò, Peppe Daponte e Gino Daponte di lamezia. Il Santista è la cerniera tra ‘ndrangheta e il “mondo” per bene: magistrati, pubblica amministrazione, la società civile”.

Dalla società minore alla Santa

“Quando ho ricevuto la Santa ho dovuto abbandonare la società minore, questo significava dover tradire, uccidere, far arrestare la società minore, per esempio far ricadere la colpa su altri o mettersi d’accordo con le Forze dell’ordine per far arrestare questo o quello. Io per la verità, ho sempre cercato di tutelare quelli che all’epoca ritenevo valori e per questo non ho voluto intrattenere rapporti con le Forze dell’ordine, anche se questo significava essere Santista: nessuno poteva dire che era il polizotto ad usare lo ‘ndranghetista o viceversa. Questa dote mi ha consentito di avere a che fare con politici, la pubblica amministrativa, di avere una strategia vincente per la guerra di mafia, ma non ero una fonte confidenziale”.

“Chi comanda nel carcere di Siano”

Il pentito ha riferito di essere stato, quando era detenuto nella Casa circondariale di giustizia, referente di una sezione e questo significa che Pulice aveva la possibilità di decidere se una persona poteva essere allocata nella sua sezione o meno. “I detenuti di fatto gestivano il carcere, decidevano chi deve stare in un piano o in un altro e con chi. Ai tempi della mia detenzione, se c’era un problema di sezione lo risolvevo io. Non c’era il filtro detenuto- agente, ma Gennaro- agente, se c’era un problema.  Questo perché si volevano evitare i dissidi: stare a Siano significava avere una detenzione comoda, visto che avevamo la famiglia vicina”. Ha precisato che in carcere si diventa referenti per meriti, una sorta di benestare, conferita dai detenuti. Ha anche aggiunto che la famiglia Giampà aveva ottimi rapporti con la famiglia Mancuso e di aver conosciuto Andrea Mantella: “Sono vivo per Damiano Vallelonga, perché Mantella prima di portare a termine il mio omicidio si è consultato con Vallelonga.

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