Rinascita Scott, il giallo della videochiamata tra padre e figlio pentiti: “Tu i cazzi miei non li sai”

Prima della deposizione di Domenico Guastalegname, la Dda di Catanzaro ha depositato un verbale con all’interno un colloquio con il padre Antonio

Collegato da una località segreta con l’aula bunker di Lamezia Terme ha fatto il suo debutto ufficiale da collaboratore di giustizia nel maxiprocesso “Rinascita Scott” Domenico Guastalegname, 30 anni, originario di Vibo Marina ma trapiantato in Piemonte dove è stato arrestato per l’omicidio del tabaccaio di Asti Manuel Bacco e condannato in via definitiva a 30 anni di reclusione. Si tratta del figlio di Antonio Guastalegname, l’imprenditore di Vibo Marina, collaboratore di giustizia, anche lui condannato alla stessa pena per lo stesso delitto compiuto nel 2014. Ancor prima della lunga escussione che ha caratterizzato quasi per intero l’udienza odierna, il pubblico ministero Annamaria Frustaci ha depositato un verbale d’interrogatorio reso lo scorso 3 marzo da Domenico Guastalegname al sostituto procuratore antimafia Antonio De Bernardo.

La strana videochiamata tra padre e figlio

La strana videochiamata tra padre e figlio

Nelle venti pagine l’ufficio di Procura contesta al collaboratore di giustizia il colloquio con il padre Antonio tenuto il 5 settembre del 2022, ovvero dieci giorni prima che Domenico rendesse il primo interrogatorio con i magistrati della Dda di Catanzaro. Nel sunto della conversazione avvenuta in videochiamata vengono sottolineati un paio di passaggi “ambigui”. Antonio dice al figlio: “E ma tu devi dire solo la verità Domenico, non dire cose in più che mi rovini a me! Tu i cazzi miei non li sai”. La risposta è indecifrabile come poco comprensibile è ciò che subito dopo aggiunge il padre: “Le cose che ho dichiarato io… tu dai le cose … dai chi li ha nascosti i fucili là… chi li ha nascosti i fucili all’epoca? Voglio vedere se ti ricorsi?…”. Sollecitato dalle domande del pm Frustaci, Domenico Guastalegname nel corso della sua deposizione ha difeso la genuinità della sua collaborazione: “Io sono andato a dire le cose che ho vissuto in prima persona, quelle dove ero presente e di cui sono colpevole. Non so cosa è andato a dire mio padre”.

Le contestazioni della Dda

Ancora più specifico il verbale di interrogatorio dove il neo-pentito risponde punto su punto alla richiesta di chiarimenti degli inquirenti. “Voglio vedere se ti ricordi” è una delle frasi estrapolate dalla lunga conversazione con il padre ed evidenziata nel verbale: “E’ stata una domanda – precisa Domenico – fatta senza alcun senso e non so perché mi è stata posta. Ribadisco che sono stato io ad avere rivelato a mio padre la circostanza delle armi sotterrate mentre mio padre ha appreso questo dettaglio da me, ragion per cui non avevo bisogno che lui mi ricordasse cosa era successo”. L’altra richiesta del padre al figlio: “Non dire cose in più se no rovini a me”. Anche qui la precisazione di Domenico è articolata: “Intendeva dire di non inventarmi cose inesistenti, anche per non metterlo in difficoltà nel suo percorso collaborativo”. Un passaggio che Domenico Guastalegname spiega ancora meglio svelando un piccolo dettaglio: nel carcere di Ferrara (sezione riservata ai congiunti dei collaboratori di giustizia) avrebbe condiviso un periodo di detenzione con Nicola Rocco Maria Femia: “Mi ha consigliato – rivela – di intraprendere il percorso collaborativo senza esitazioni e di non inventare fatti o circostanze inesistenti anche perché sarebbero stati effettuati dall’Autorità Giudiziaria dei riscontri sulle mie propalazioni. Questo stesso concetto voleva esprimere anche mio padre nel corso di questo colloquio: non riferire all’Autorità giudiziaria cose diverse o ulteriori rispetto alle mie effettive conoscenze perché altrimenti avrei compromesso non solo il mio percorso ma anche il suo”.

Genesi e ragioni del pentimento

Domenico Guastalegname chiede di incontrare il sostituto procuratore antimafia di Catanzaro Antonio De Bernardo tra luglio e agosto del 2022. Il primo colloquio con la Dda di Catanzaro avviene il 15 settembre e dal 28 dello stesso mese il giovane viene ammesso nel programma di protezione insieme alla sua famiglia iniziando il percorso di collaborazione con la giustizia. Un paio di mesi prima la Corte di Cassazione aveva reso definitiva la condanna a 30 anni di reclusione per via dell’omicidio di Manuel Bacco nel corso di una rapina finita nel sangue ad Asti. “Ho deciso di collaborare per dare un futuro diverso ai miei figli, per dare loro una nuova vita”, dice Domenico Guastalegname al pm Annamaria Frustaci che lo esamina per la prima volta dall’aula bunker di Lamezia. Il pentito dice di non aver partecipato alla rapina che portò all’uccisione del tabaccaio di Asti, si professa innocente e scagiona anche il suo amico d’infanzia Jacopo Chiesi, figlio di un carabiniere, anche lui condannato a 30 anni in via definitiva. Accusa invece il padre Antonio e, soprattutto, Giuseppe Antonio Piccolo: “E’ lui l’esecutore materiale. Io sono stato accusato di essere stato l’autista, di aver portato sul posto Piccolo ma non era così e lo ho detto in tempi non sospetti anche alla Procura di Asti raccontando la possibile dinamica di quanto accaduto senza venire creduto perché in contrasto con la ricostruzione accusatoria”. Domenico Guastalegname inquadra Piccolo come personaggio di spessore della ‘ndrangheta etichettandolo come “un malandrino” della famiglia Mancuso. Lo accusa direttamente e senza giri di parole di aver ucciso Manuel Bacco e di non essersi preso le responsabilità del delitto facendo fare “galera a persone innocenti”: “Una cosa del genere fatta da uno ‘ndranghetista – sostiene – è un’infamità”.

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