Rinascita Scott, il maxi processo alla ‘ndrangheta senza giudici e a telecamere spente

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di Mimmo Famularo – Raccontare il più grande processo alla ‘ndrangheta senza l’ausilio delle immagini. Della prima udienza dibattimentale di “Rinascita Scott” nell’aula bunker di Lamezia Terme restano le foto scattate e qualche video realizzato a pochi minuti dall’ingresso in scena dei tre giudici del Tribunale collegiale di Vibo Valentia. A differenza di quanto avvenuto nel maxi processo a Cosa Nostra, le telecamere sono rimaste spente e nessuno ha così potuto immortalare le fasi cruciali di un’udienza che non è stata banale (appello degli imputati a parte) e neanche tanto noiosa come avviene nelle fasi iniziali di un processo.

Quel silenzio che piace alla ‘ndrangheta

Quel silenzio che piace alla ‘ndrangheta

I grandi inviati delle testate internazionali accreditate per l’evento (il Times di Londra, la Bbc inglese, l’Ard tedesca, l’Orf austriaca, le prestigiose agenzie Associated Press e Reuters) e l’intera platea di giornalisti spediti in Calabria dalle più importanti trasmissioni televisive hanno solo potuto ascoltare e annotare sui loro taccuini l’intervento di Nicola Gratteri nelle vesti di pubblico ministero, il “pepato” duello con uno degli avvocati più importanti del collegio difensivo, Salvatore Staiano, ma anche il botta e risposta tra il capo della Procura antimafia e il giudice Tiziana Macrì sui tempi della ricusazione e della conseguente astensione. In gabbia non c’era alcun imputato. Chi era ai domiciliari o a piede libero ha assistito all’udienza come uno spettatore qualsiasi e chi invece era detenuto si è collegato in videoconferenza. C’è chi non lo ha potuto fare perché in isolamento per via del Covid e chi invece semplicemente non c’era per difetto di notifica. Al termine di una giornata intensa restano tante parole, qualche foto, pochissime immagini e l’impressione che il più grande processo alla ‘ndrangheta non sia ancora veramente partito. Per fortuna, verrebbe da aggiungere, perché c’è ancora il tempo di rimediare a quel clamoroso divieto di poter accendere le telecamere in aula e raccontare in tutto e per tutto un evento destinato a entrare nella storia. La sua narrazione va lasciata ai giornalisti e trasmessa ai posteri come è avvenuto per il maxi processo a Cosa Nostra. Il silenzio è sempre omertà e vietare le riprese significa fare un favore, seppur involontario, alla ‘ndrangheta, l’unica a gioire per quelle telecamere abbassate o girate al contrario. Non in segno di protesta ma per disposizione del Tribunale di Vibo che ha impedito, almeno nella giornata di oggi, di documentare adeguatamente uno degli eventi giudiziari della storia repubblicana.

L’udienza “oscurata” e la strategia dei clan

Oscurare qualcosa del genere somiglia tanto a una censura, è inaccettabile nell’era della comunicazione, è un clamoroso assist a chi vorrebbe sminuire la maxi inchiesta “Rinascita Scott”, ai tanti detrattori di Nicola Gratteri che da grande conoscitore della ‘ndrangheta ha sapientemente tessuto una strategia di immagine tesa a far capire anche ai grandi media internazionali la pericolosità delle ‘ndrine, la loro pervasività, la capacità di infiltrarsi ovunque. A Vibo, in Calabria, in Italia, soprattutto in Europa dove l’opera di riciclaggio dei “colletti bianchi” trova autentiche praterie da conquistare a causa di una legislazione antimafia assolutamente non adeguata. E anche oggi Nicola Gratteri ha lanciato un nuovo allarme perché mentre i tempi del maxi processo si dilatano, quelli relativi alla scadenza dei termini di custodia cautelare si restringono con il rischio di rivedere liberi boss e gregari ora in carcere. Una strategia raffinata svelata dal nuovo collaboratore di giustizia Gaetano Cannatà che in un verbale che presto verrà depositato dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha riferito che c’è stata un’apposita riunione per sollecitare gli imputati a optare quanto più possibile per l’ordinario in modo di allungare i tempi e arrivare a far scadere i termini cautelari che, fuori dal gergo tecnico, significa scarcerazione. Da qui l’urgente necessità di dare un’accelerata ma i tempi della giustizia in Italia non hanno la stessa velocità di pensiero e adattamento della ‘ndrangheta.

La falsa partenza

Così il maxi processo “Rinascita Scott” è rimasto temporaneamente senza giudici. Il presidente del collegio Tiziana Macrì è stato ricusato dalla Dda e ha scelto di astenersi, la stessa cosa hanno fatto le sue colleghe a latere Brigida Cavasino e Gilda Romano. Le ultime due hanno presenziato insieme all’altro giudice Claudia Caputo l’udienza dell’immediato celebrato subito dopo l’ordinario. Anche qui poco da fare. L’avvocato Giancarlo Pittelli non c’era per un difetto di notifica, ma erano presenti gli altri imputati l’imprenditore vibonese Mario Lo Riggio, l’avvocato Giulio Calabretta e l’ex sindaco di Nicotera Salvatore Rizzo. Per la Dda è un troncone da unificare a quello principale unitamente al mini-filone che vede imputati Francesco Cracolici, Francesco Barba e Giuseppe Camillò. Opposizione delle difese con gli avvocati Staiano, Contestabile e Muzzopappa che hanno presentato ricorso in Cassazione contro la ricusazione di Tiziana Macrì che verra discusso il prossimo 22 febbraio (LEGGI QUI). Intanto il maxi processo resta senza giudici in attesa che il presidente del Tribunale di Vibo Antonio Erminio Di Matteo sciolga la riserva sull’astensione della Cavasino e della Romano e indichi la nuova composizione del collegio giudicante. C’è tempo una settimana perché il 19 gennaio i cancelli dell’aula bunker torneranno a riaprirsi per una nuova udienza del processo con rito ordinario e di quello con giudizio immediato. Si deciderà sull’eventuale unificazione dei due tronconi nella speranza che, almeno stavolta, durante il dibattimento si consenta l’accensione delle telecamere affinché alle parole seguano le immagini.

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