di Mimmo Famularo – “L’avvocato Pittelli veniva nominato perché aveva molte conoscenze tra i giudici e una grande influenza tra di loro. Era molto legato ai Barba e alla mia famiglia”. A parlare è Emanuele Mancuso, l’ex rampollo della potente famiglia di ‘ndrangheta di Limbadi e Nicotera diventato collaboratore di giustizia. La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha depositato un nuovo, inedito verbale tra gli atti del maxi processo “Rinascita Scott”. E’ composto da tredici pagine e non presenta alcun omissis. Riguarda l’interrogatorio reso dal pentito il 25 novembre del 2020 e buona parte del contenuto si sofferma sugli interessi dei Mancuso per le colonnine di carburante.
Pittelli e il contenuto della sentenza saputo in anticipo
Pittelli e il contenuto della sentenza saputo in anticipo
La passione del casato di Limbadi per l’oro nero ma non solo. Le nuove rivelazioni partono dalle foto dei fratelli Giuseppe e Antonio D’Amico, i due imprenditori vibonesi coinvolti nell’inchiesta denominata “Petrolmafie” (il giovane collaboratore di giustizia dice di non conoscere), e si concludono con due passaggi esclusivi sull’avvocato Pittelli e su Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, cugino omonimo e coetaneo del padre del pentito, l’ingegnere. L’ex parlamentare viene citato nel verbale nella parte in cui Mancuso parla di Pinuccio Barba, indicato come appartenente all’omonima ‘ndrina di Vibo “che ha una moglie che lavora in ospedale ed è parente del musichiere (il soprannome di Vincenzo Barba n.d.r.)”. In sede di rilettura del verbale specifica che Barba ogni mese, durante la detenzione del padre di Emanuele, Pantaleone Mancuso, detto l’ingegnere, avrebbe portato del denaro alla sua famiglia e, in particolare, alla madre. “In occasione dell’arresto di questo Pino Barba – riferisce Emanuele agli inquirenti – il padre, che era disposto a tutto per farlo uscire, si rivolse all’avvocato Pittelli, che infatti riuscì a farlo assolvere in appello e a farlo persino risarcire”. Il pentito chiama in causa il penalista catanzarese anche per una questione che lo riguardava personalmente. “Davanti al Tribunale dei Minori, la mia famiglia – sostiene Mancuso – si rivolse all’avvocato Pittelli il quale seppe in anticipo il contenuto della sentenza”.
Scarpuni e il presunto accordo con lo Stato
Tra le righe del verbale, spunta poi un altro clamoroso retroscena svelato dal pentito. Luigi Mancuso avrebbe intimato il nipote Pantaleone, alias Scarpuni, ad allontanarsi prima di essere arrestato “perché sapeva chiaramente che gli avrebbero dato l’ergastolo”. Dietro le quinte della faida che a cavallo tra il 2011 e il 2012 insanguinò il Vibonese c’era proprio lui, “Luni Scarpuni”. Da una parte sosteneva i Patania di Stefanaconi; dall’altra era ricercato dal gruppo di fuoco dei Piscopisani che voleva ucciderlo e tagliargli la testa. Prima del sanguinario clan di Piscopio è arrivata però la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e Scarpuni si trova ora recluso all’ergastolo e condannato al 41bis. “Io chiesi a Luigi – rivela il pentito – perché non aggiustavano la sentenza che lo riguardava ma Luigi mi diceva che non era possibile perché lo stato di cose derivava da una precisa scelta di Scarpuni. Quest’ultimo, per detta di mio zio Luigi, aveva trovato un accordo che presumo sia stato con lo Stato – in base al quale se lui si fosse fatto arrestare avrebbe evitato che gli avessero tolto il figlio (in considerazione anche della vicenda della Buccafusca”. E la Buccafusca in questione è Tita, la defunta moglie di Pantaleone Mancuso, arrivata a un passo dalla collaborazione con la giustizia. Tornata a casa dopo aver prima riempito e poi non firmato il verbale in cui dichiarava di voler entrare nel programma protezione testimoni, morì all’ospedale di Reggio Calabria dopo aver ingerito acido muriatico. Tutto ciò che rimane di questa misteriosa storia è la domanda dell’allora pm antimafia Camillo Falvo, oggi procuratore di Vibo: “Poteva ingerire volontariamente una simile quantità di acido muriatico?”. Una domanda ancora senza risposta. Ma questa è davvero un’altra storia.
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