Rinascita Scott, le pesanti accuse del pentito Mantella a Giamborino: “Affiliato alla ‘ndrangheta”

Il collaboratore di giustizia svela anche la "rete degli usurai" attiva a Vibo: "Ne faceva parte anche il consigliere comunale Antonio Curello"

di Mimmo Famularo – ‘Ndrangheta e politica al centro della terza udienza dedicata all’esame di Andrea Mantella, l’ex boss scissionista diventato collaboratore di giustizia e teste principale dell’accusa nel maxi processo “Rinascita Scott”. Pesanti le accuse che il pentito in videocollegamento con l’aula bunker di Lamezia Terme ha lanciato nei confronti del’ex consigliere regionale Pietro Giamborino, uno degli imputati “eccellenti”, cugino di Giovanni Giamborino, indicato come “fedelissimo” del boss di San Gregorio d’Ippona Saverio Razionale e “factotum” del super boss di Limbadi Luigi Mancuso. Rispondendo alla domande del pm Antonio De Bernardo, Mantella ha inquadrato Pietro Giamborino (imputato nel filone cosentino per traffico di influenze e nel troncone principale di “Rinascita Scott” per associazione mafiosa e corruzione elettorale) come “un affiliato alla ‘ndrangheta” e come “un uomo d’onore”. “Si accompagnava pure a Francesco D’Angelo, alias ‘Ciccio Ammaculata’ (figura di vertice della ‘ndrangheta di Piscopio n.d.r.) e aveva rapporti con Saverio Razionale con il quale cenava pure a Roma anche se – ha precisato – non li ho mai visti insieme”. E ancora: “Ho saputo che anche lui era ‘battezzato’ e l’ho conosciuto sempre come uomo di ‘ndrangheta. L’ ho sempre visto che si atteggiava come i malandrini e frequentava con suo zio Fiore la casa di Carmelo Lo Bianco”.

Il sostegno delle “forze armate” della ‘ndrangheta

Il sostegno delle “forze armate” della ‘ndrangheta

Il rapporto con il boss di San Gregorio d’Ippona era così stretto – a dire di Mantella – da chiedere e concedere favori importanti in una sorta di “do ut des”. E’ a lui che Giamborino si sarebbe rivolto per “proteggere” un parrucchiere di Vibo al quale il gruppo di Mantella aveva messo una bomba al negozio nell’ambito di una strategia estorsiva. “Saverio Razionale – ha detto il pentito – è venuto da me chiedendomi la cortesia di lasciarlo in pace perché era amico di Pietro Giamborino che in cambio si è messo a disposizione per qualsiasi favore e infatti sponsorizzò il noleggio dei miei mezzi con la Proserpina, la ditta della spazzatura”. L’ex consigliere regionale sarebbe stato molto amico dell’amministratore di questa società, un imprenditore di origini siciliane che aveva investito a Vibo vincendo l’appalto per la raccolta dei rifiuti. Ma Giamborino avrebbe ottenuto dalla ‘ndrangheta anche l’appoggio elettorale. “A favore di Giamborino sono scese in campo – ha ribadito Mantella – tutte le forze armate della ‘ndrangheta: Razionale, i Piscopisani, gli stessi cugini Giamborino, i fratelli D’Amico della Dmt. Pure io dissi di raccogliere i voti per lui perché poteva essere utile”.

La “Banca d’Italia dei clan” e la rete di usurai

Pietro Giamborino non è stato il solo politico finito nel “tritacarne” di Andrea Mantella. Nel corso dell’esame, il pentito ha indirettamente fatto il nome di Antonio Curello, attuale consigliere comunale a Vibo nella maggioranza che sostiene il sindaco Maria Limardo, eletto tra le file di Fratelli d’Italia del quale però non è stato mai iscritto e in precedenza consigliere comunale e provinciale in quota Pd. Non è imputato nel maxi processo, non risulta indagato e Mantella lo cita inserendolo nella rete degli usurai finanziata da un altro “fedelissimo” del boss Luigi Mancuso, Gianfranco Ferrante, imprenditore, conosciutissimo a Vibo perché ex titolare del Cin Cin Bar. Riferendosi a Curello, Mantella sottolinea che aveva rapporti di parentela con i Barba ed era tra quelli che praticava usura. Il pentito si sofferma soprattutto sulla figura di Gianfranco Ferrante e lo indica come una sorta di “Banca d’Italia della ‘ndrangheta”: “Prendeva i soldi anche dai Mancuso e poi finanziava la rete di usurai”. Un broker che raccoglieva il denaro dalle cosche vibonesi per poi distribuirli agli usurai tra i quali cita i Barba, in particolare Enzo, detto “il musichiere”. Il denaro contante  arrivava – secondo quanto sostenuto dal collaboratore di giustizia – da Cosmo Michele Mancuso attraverso il genero di quest’ultimo Giuseppe Raguseo e dal boss defunto di Serra San Bruno Damiano Vallelunga, al quale Ferrante era molto legato. L’imprenditore vibonese avrebbe usato questi soldi anche per un truffa compiuta – a detta sempre di Mantella –  insieme a Giovanni Governa che non è imputato e non risulta indagato, consigliere comunale di Lamezia Terme nel 1991 nell’amministrazione che venne sciolta per infiltrazione mafiosa.

I soldi per “annebbiare” le sentenze in Cassazione

Ferrante sarebbe stato “funzionale per sostenere la malavita nel Vibonese” e utilizzato anche per veicolare messaggi “da me, Pantaleone Mancuso ‘Scarpuni’ e Damiano Vallelunga. Si parlava di estorsioni e di ‘ndrangheta. Io certo – spiega Mantella – non esercitavo la professione del prete, io esercitavo una professione militare all’interno della ‘ndrangheta. Ferrante si prestava a mettere in atto estorsioni per conto mio e di Pantaleone Mancuso ‘Scarpuni'”. Proventi illeciti utilizzati per pagare anche gli avvocati. Mantella fa il nome di un noto giurista romano, legato alla massoneria e inserito in quella che viene definita la “rete di protezione” di Luigi Mancuso: “Era stato pagato per annebbiare qualche sentenza in Cassazione”.

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