Rinascita Scott, il processo d’appello non decolla: altro giudice a rischio astensione e altro rinvio

Si tratta del filone abbreviato con 74 imputati in attesa di un nuovo giudizio ma già tre giudici sono stati costretti a fare un passo indietro
rinascita scott

Fatica a partire il secondo capitolo giudiziario del filone abbreviato di Rinascita Scott. Nell’aula bunker di Lamezia Terme si è assistito a un nuovo rinvio con prossima udienza fissata per il 5 maggio. Il motivo? Un altro giudice è stato invitato all’astensione. Si tratta di Caterina Capitò che dovrebbe (il condizionale è quanto mai d’obbligo) ricoprire il ruolo di presidente della Corte d’Appello di Catanzaro chiamata a giudicare i 74 imputati citati in giudizio. L’invito all’astensione è stato formulato dall’avvocato Diego Brancia sulla base di una sentenza pronunciata lo scorso 26 gennaio nell’ambito di una “costola” di Rinascita Scott che interessava il clan Soriano di Filandari. Nella triade giudicante c’era Caterina Capitò e tra gli imputati Giacomo Cichello, assolto “per non aver commesso il fatto” in quel procedimento penale e in attesa di giudizio in questo filone di Rinascita Scott. Da qui la richiesta dell’avvocato Brancia che sarà ora valutata dal presidente della Corte d’Appello di Catanzaro alla quale lo stesso giudice ha rimesso gli atti. Tutto lascia presagire, tuttavia, un altro cambio in corsa.

Tre giudici hanno già fatto un passo indietro

Tre giudici hanno già fatto un passo indietro

Nella scorsa udienza avvenne un altro episodio analogo con gli avvocati Diego Brancia, Paride Scinica e Francesco Sabatino che chiesero e ottennero l’invito all’astensione nei confronti di un altro giudice, Giovanna Mastroianni (LEGGI QUI). In quell’occasione furono costrette a fare “un passo indietro” anche Assunta Maiore, che nel ruolo di gip distrettuale firmò negli anni scorsi una serie di decreti autorizzativi di intercettazioni nei confronti di alcuni imputati oggi coinvolti in Rinascita Scott, e Abigail Mellace, che da gip vergò l’ordinanza che nel 2005 ha portato all’arresto di Gregorio Giofrè, uno degli imputati principali di questo troncone. Sia per l’una che per l’altra è quindi scattata l’incompatibilità così come chiesto dagli avvocati Paride Scinica e Sergio Rotundo. Un film già visto nel filone ordinario del maxiprocesso e che si ripete anche dinnanzi alla Corte d’Appello. Questa mattina in aula, oltre al giudice Carlo Fontanazza, l’unico a superare le Forche Caudine dell’astensione o della ricusazione, si sono presentati altri due togati: Antonio Giglio e, appunto, Caterina Capitò. Quest’ultima rischia di essere il quarto magistrato costretto ad astenersi anche se i pm Antonio De Bernardo e Marisa Manzini sostengono che non c’è alcuna incompatibilità nel caso specifico. Nel frattempo, altro nulla di fatto e altro rinvio. Se ne riparlerà il prossimo 5 maggio.

La “stangata” nel processo di primo grado

Nel decreto di citazione a giudizio figurano i nomi di 74 imputati per i quali la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e gli avvocati del collegio difensivo hanno proposto ricorso in appello contro la sentenza pronunciata dal gup Claudio Paris il 6 novembre del 2021. In quella circostanza l’impianto accusatorio costruito dall’ufficio di Procura guidato da Nicola Gratteri ha retto quasi completamente ed è stata riconosciuta in primo grado l’operatività dei clan Lo Bianco-Barba-Pardea di Vibo Valentia, Mancuso di Limbadi, Fiarè-Gasparro-Giofrè di San Gregorio d’Ippona, Accorinti di Zungri, ma soprattutto l’unitarietà della ‘ndrangheta vibonese. Stangata per le “nuove leve” di Vibo. Domenico Macri, detto “Mimmo” e Francesco Antonio Pardea sono stati condannati a 20 anni di reclusione. Stessa pena anche per il braccio destro del boss Luigi Mancuso, Pasquale Gallone, per Luciano Macrì, Gregorio Niglia e Saverio Sacchinelli. Al presunto capobastone Domenico Camillo, classe ’41, è stata inflitta una condanna a oltre 15 anni di carcere. Condannato a 13 anni e 4 mesi Gregorio Giofrè di San Gregorio d’Ippona, ritenuto il “ministro dei lavori pubblici” della ‘ndrangheta vibonese. Tra gli imputati anche i collaboratori di giustizia vibonesi Bartolomeo Arena (condannato a 4 anni e 8 mesi di reclusione), Gaetano Cannatà (3 anni e 8 mesi), Michele Camillò (4 anni) ed Emanuele Mancuso (1 anni e 4 mesi), il “rampollo” dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di Limbadi, figlio di Pantaleone Mancuso, alias “l’ingegnere”. Processo-bis e nuova citazione in giudizio invece per l’imprenditore e avvocato di Vibo Vincenzo Renda (difeso dall’avvocato Diego Brancia e Francesco Gambardella) e per Maurizio Fiumara, lo zio dell’ex sindaco di Pizzo, Gianluca Callipo (difeso dagli avvocati Francesco Gambardella e Roberto Franco). Entrambi erano stati assolti in primo grado. Tra coloro che avevano incassato l’assoluzione e che tornano sui banchi degli imputati anche Emanuela Chillà e Antonio Di Virgilio.

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