Rinascita Scott, la conversione di Mantella: “Ho visto la Madonna? Una battuta inopportuna”

Il collaboratore di giustizia torna sulle ragioni che lo hanno spinto a pentirsi: "La 'ndrangheta mi fa schifo". E su Luigi Mancuso: "Per i mafiosi era un'immagine sacra" 

di Mimmo Famularo – La conversione di Andrea Mantella da boss a collaboratore di giustizia nuovamente al centro del processo “Rinascita Scott”. A tornare sull’argomento è stato l’avvocato Paride Scinica, difensore di uno dei principali imputati, il super boss Luigi Mancuso, ritenuto dagli inquirenti il capo crimine della Provincia di Vibo. Nel corso della prima parte del controesame durata circa tre ore, il legale ha provato a minare la credibilità del pentito riprendendo anche un paio di dichiarazioni rilasciate da Mantella in vecchi processi nei quali ha deposto e precedenti udienze di “Rinascita Scott”. “Lei è uno ‘ndranghetista?” domanda l’avvocato Paride Scinica utilizzando il presente. “Ero uno ‘ndranghetista, avvocato, ero. E sono schifato di esserlo stato” la risposta al passato del collaboratore di giustizia collegato da un sito riservato con l’aula bunker di Lamezia Terme. Sulle ragioni che lo hanno spinto a cambiare Mantella ha ribadito: “Non volevo condurre una vita da malavitoso, da ‘ndranghetista. Sarà stata dettata dalla passione di leggere libri, di dedicarmi per quanto sono stato capace allo studio e, alla fine, non mi rispecchiavo più nelle logiche della ‘ndrangheta”.

“Da pentito rischio ancora di più di essere ucciso”

“Da pentito rischio ancora di più di essere ucciso”

L’avvocato Scinica lo incalza e ricorda un vecchio episodio raccontato nel processo “Black Money” da Andrea Mantella: l’apparizione della Madonna in chiesa prima della decisione di collaborare con la giustizia. “Sono solo chiacchiere, non è mai successo. Potete prendere le registrazioni, si tratta solo di una mia battuta inopportuna che è stata strumentalizzata. Sono una persona sobria, tranquilla, non ho visioni”.
Nel corso dell’udienza del 22 aprile, Mantella aveva dichiarato che se fosse tornato fuori dal carcere avrebbe dovuto vendicare l’uccisione di Andrea Scrugli, il suo amico fraterno e braccio destro. Un particolare che l’avvocato Scinica utilizza per chiedere a Mantella se avesse la paura di fare la stessa fine. Il timore di essere ammazzato dai suoi nemici dietro il pentimento? “Io con la morte – sostiene Mantella – ci sono abituato, anche da collaboratore di giustizia. Non è che collaboro e non rischio la morte. Anzi, la rischio ancora di più. Le vendette sono dietro l’angolo. Da ‘ndranghetista temevo di essere ucciso come anche da collaboratore di giustizia. Ma non pensavo dopo la morte di Scrugli di poter essere vittima di omicidio”.

L’immagine “sacra” di Luigi Mancuso

Il controesame prosegue affrontando un altro tema centrale del processo “Rinascita Scott”: l’influenza dei Mancuso su Vibo città. “Sin da ragazzino – sottolinea Mantella – ho sempre visto la presenza dei Mancuso a Vibo. Quando c’è stata la faida tra i vibonesi e i sangregoresi per i Mancuso è stato il momento più opportuno per riprendersi tutto il territorio compresa la città di Vibo Valentia”. Al vertice di tutta la ‘ndrangheta vibonese, il collaboratore di giustizia ha posizionato Luigi Mancuso definito “la persona più fine e preparata, un ragionatore”. “All’interno del carcere – rimarca – tutti i mafiosi hanno un punto di riferimento. Come se fosse che lei crede alla Chiesa, all’immagine sacra. I mafiosi del Vibonese credevano all’immagine sacra di Luigi Mancuso. Quando ero ragazzino lui saliva a Vibo Valentia, addirittura quando veniva si mobilitava tutta la criminalità organizzata. Veniva al chiosco dei formaggi di Carmelo Lo Bianco e andava in giro con una Lancia Delta Martini. Io essendo un ragazzetto mi sono limitato a salutarlo, non è che mi potevo mettere a parlare con una persona così importante, mi potevo solo inginocchiare”.

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