Rinascita-Scott, la requisitoria della Dda di Catanzaro: dalla ‘ndrangheta unitaria alla massoneria

Il pm Antonio De Bernardo inizia quella che sarà una lunga requisitoria, alternandosi con il magistrato Annamaria Frustaci e il procuratore capo Nicola Gratteri
Rinascita-Scott

Sono le 13:17 quando il pm della Dda, Antonio De Bernardo, inizia quella che sarà una requisitoria che si svilupperà per tutta la giornata e per almeno i prossimi 20 giorni, alternandosi con il magistrato Annamaria Frustaci e il procuratore capo Nicola Gratteri che non è voluto mancare a questo primo importante appuntamento che ha aperto la fase della discussione dopo la chiusura dell’istruttoria dibattimentale. Siamo dunque alle battute conclusive – che comunque si protrarranno fino a dopo l’estate – del maxiprocesso “Rinascita-Scott” e nella sala riecheggiano, pronunciate dal pm della distrettuale antimafia di Catanzaro, le parole del giudice Giovanni Falcone: “Non si può parlare di mafia delle estorsioni come non si può parlare di mafia dei triplici appalti, della droga, degli omicidi e così via. Il fenomeno mafioso è lungo e unitario e solo in una visione complessiva, globale, unitaria si possono poi studiare e approfondire adeguatamente le singole strategie e le varie sfaccettature del fenomeno mafioso stesso”.

“Abbiamo imparato la lezione”

“Abbiamo imparato la lezione”

È il tema, appunto, della ’ndrangheta unitaria quello sul quale De Bernardo punterà in questa prima giornata toccando, nella seconda parte del suo intervento odierno, l’aspetto legato alla massoneria. Esordendo ha fatto riferimento ad un dato importante che spesso è stato sollevato in questi tre anni di dibattimento, quello sui numeri del processo: “Si è parlato in tutto questo tempo di confronti in termini numerico con il maxiprocesso di Palermo ma i numeri non dicono niente di per sé ma rappresentano di fatto la conseguenza di un metodo di lavoro”. E tornando a Falcone e anche a Paolo Borsellino, ritenuti inarrivabili, ha aggiunto che la Procura antimafia di Catanzaro vuole rivendicare con orgoglio un aspetto: “Noi quella lezione l’abbiamo imparata, ne abbiamo fatto tesoro. Giovanni Falcone ha inventato un metodo per affrontare il problema della criminalità organizzata”.

“Fenomeno predatorio”

Una criminalità organizzata, in particolare la ’ndrangheta che il magistrato ha definito “fenomeno predatorio che presuppone l’uso della violenza, ma non solo questo: è, infatti, un fenomeno che implica una logica transattiva, uno scambio, è una industria di protezione e quindi non ci sono solo le vittime del rapporto predatorio ma anche gli utenti della ’ndrangheta che cercano la protezione, che sono di fatto consumatori di protezione. Orbene, se non si coglie questo passaggio non si può capire bene perché, in alcuni casi, perseguendo questa logica, taluni soggetti a cui contestiamo il 416 bis sono vittime di estorsione”.

Il pm ha iniziato poi col menzionare la storia del Crimine di Polsi, la nascita di quello di Cutro e poi di Cirò e l’esistenza di un “Crimine territoriale nel Vibonese, riconosciuto da Polsi e identificato nella famiglia Mancuso, ma con livelli di autonomia anche maggiori, e ciò va visto legato al momento storico e alle contingenze. Quello che conta – ha affermato ancora – è che nel Vibonese ci sono sempre stati dei soggetti che hanno svolto funzioni di crimine che rendevano conto a Polsi. Questi soggetti potevano non solo controllare il territorio ma far nascere altre Locali, in pratica una Camera di controllo come quelle disposte da Polsi sui territori, come avvenuto in Lombardia, Liguria e Piemonte.” Sui collaboratori, ha riferito che quelli “sui quali avevamo dubbi li abbiamo sondati, altri invece non li abbiamo più sentiti. Tutti quelli escussi in dibattimento hanno un percorso sondabile e non mi sembra che vi siano problemi di attendibilità intrinseca; inoltre a distanza di tempo fonti differenti dicono le stesse cose su massoneria e sul ruolo di soggetti cerniera come ad esempio Giancarlo Pittelli”. (f.p.)

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