di Gabriella Passariello- Nelle 127 pagine in cui il pm antimafia Antonio De Bernardo motiva la richiesta di ammissione di nuove prove (LEGGI) depositata ai giudici del collegio nel processo Rinascita Scott nei confronti del penalista Giancarlo Pittelli, emerge un dato importante. La Dda di Catanzaro ha proposto ricorso in Cassazione contro la decisione dei giudici del Riesame di rimettere in libertà l’ex parlamentare di Forza Italia, dopo l’annullamento con rinvio deciso dal Supremo collegio, che aveva chiesto al Tdl di prendere in considerazione i nuovi atti prodotti dal pool degli avvocati Salvatore Staiano, Gian Domenico Caiazza e Guido Contestabile. E nello spiegare la revoca della misura cautelare in atto, il Riesame ha negato l’esistenza di un concorso esterno in associazione mafiosa, parlando di una sorta di millanteria dell’imputato, perché i propri assistiti considerassero cruciale il suo ruolo di avvocato in virtù delle sue conoscenze ed entrature importanti, un legale che “non ha disvelato segreti” al clan di Limbadi, “ma che ha raccolto informazioni anche da fonti notorie come i giornali on line e che vuole dar luce alla propria importanza per supportare gli assistiti, finanche millantando la possibilità di reperire notizie segrete” (LEGGI). Motivazioni che non convincono la Dda, che negli atti richiamano alcune sentenze in cui viene confermata l’esistenza del concorso esterno nei confronti di professionisti che hanno fornito un concreto, specifico e volontario contributo idoneo a conservare e rafforzare il sodalizio nella consapevolezza di favorirne un programma criminoso, travalicando i limiti del mandato difensivo, sottolineando che il Riesame ha respinto l’istanza di ammissione di prove documentali esibita dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.
“Mi riferiva di aver trovato il modo per aggiustare l’appello”
“Mi riferiva di aver trovato il modo per aggiustare l’appello”
Nella richiesta di ammissione di nuove prove vengono citati nove collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni sono ritenute necessarie per la Dda per comprendere la caratura criminale dell’avvocato di Catanzaro, sospeso dal Consiglio dell’ordine. E’ lo stesso pentito Nicola Femia a dichiarare di essersi rivolto a Pittelli per poter trovare una soluzione alla grave situazione processuale in cui si trovava: “mi convoca a Roma nel suo ufficio e in quella occasione mi invita a portargli 50mila euro a titolo di acconto in quanto mi riferiva di aver trovato il modo per poter aggiustare con l’appello la sentenza di primo grado” e Dante Mannolo fa il nome dell’ex parlamentare, indicandolo come tramite per la consegna del denaro dell’estorsione che Alfonso Mannolo, elemento inserito nella locale di San Leonardo di Cutro, avrebbe preteso in conseguenza della mediazione prestata nell’ambito della cessione di un terreno ricadente nel territorio di propria competenza e su cui era in progetto la realizzazione di un villaggio turistico. Anche il collaboratore di giustizia Angelo Santolla, fornisce, secondo la Dda, uno spaccato del tutto in linea col dichiarato degli altri collaboratori, sebbene non si addentri in vicende strettamente connesse ad attività corruttive ma si limiti a riferire l’atteggiamento collusivo che Pittelli avrebbe avuto con le cosche: “vi era una consapevolezza da parte dei nostri avvocati cosentini, a noi fatta chiaramente percepire, che l’avvocato Pittelli potesse essere quello in grado di arrivare alle informazioni necessarie. Ricordo che a lui veniva dato molto credito”.
“Prodigo nel mettersi a disposizione delle cosche”
Un’ulteriore testimonianza della vicinanza dell’imputato alle cosche di ‘ndrangheta, viene offerta dal pentito Antonio Genesio Mangone, dichiarazioni che attestano come Pittelli fosse visto dale cosche come un personaggio in grado di disporre di un ventaglio infinito di conoscenze, prodigo nel mettersi a disposizione delle consorterie ricorrendovi ogni qualvolta fosse necessario “per sistemare le questioni e le problematiche che gli venivano poste”. E ancora le propalazioni di Francesco Farao, Nicola Acri e Domenico Antonio Critelli, che fanno riferimento ad un omicidio molto risalente nel tempo quello di Mario Mirabile, ucciso a colpi di arma da fuoco il 31 agosto del 1990 a Corigliano Calabro. Un fatto di sangue con un lunghissimo iter processuale nel quale avrebbe rivestito un ruolo determinante proprio Giancarlo Pittelli che avrebbe corrotto un giudice. Anche in questo caso si tratterebbe di una questione connessa ad una corruzione dell’organo giudicante chiamato ad esprimersi sulla responsabilità dei fratelli Giuseppe e Silvio Farao, rispettivamente padre e zio del collaboratore Francesco Farao e di Cataldo Marincola.
“Tramite la massoneria trait d’union tra mondo criminale e imprenditoriale”
Per la Dda non è importante stabilire in questa sede se la corruzione si sia verificata, ciò che rileva è che Pittelli sia stato individuato come colui che poteva fungere da tramite per comprare una sentenza. Tra l’altro la collocazione criminale della cosca di appartenenza dei tre collaboratori è “l’ennesima dimostrazione di come egli fosse universalmente riconosciuto come quel soggetto le cui conoscenze ed entrature erano sfruttabili da parte dei consociati per raggiungere qualsiasi obiettivo, anche quelli illeciti come la corruzione di un giudice, che si può definire la massima espressione della pericolosità sociale rappresentata da tale genere di comportamenti”. E a dare uno spaccato diverso del penalista, trait d’union tra il mondo criminale e imprenditoriale, tramite la massoneria è il pentito Marcello Fondacaro, (anche il collaboratore di giustizia Maurizio Cortese), che riferisce di un progetto imprenditoriale turistico nel Lametino che avrebbe coinvolto due cosche e nell’ambito del quale Pittelli avrebbe assolto alla funzione di raccordo tra due poli criminali “garantire le comunicazioni con gli esponenti delle cosca Mancuso di Limbadi e la cosca Grande Aracri, sfruttando i propri canali massonici a tutto vantaggio delle attività delle cosche”.