di Gabriella Passariello- Nelle carceri lo scambio di segni per evitare comunicazioni verbali, passando inosservati agli occhi di telecamere e microspie, la pianificazione di agguati nella Casa circondariale di Catanzaro, un carcere definito “un circolo dove la gente gioca, come del resto è anche Frosinone. A Vibo non ci sono responsabili in quanto è un carcere duro, le guardie sono serie non come a Catanzaro”. Emergono dettagli inquietanti da alcuni verbali desecretati del collaboratore di giustizia Raffaele Moscato che svela particolari inediti nel momento in cui si trovava in “gabbia” nel capoluogo di regione in attesa di processo. Con lui c’era Bruno Emanuele, che aveva anticipato a Rosario Battaglia di avercela con Antonio Pardea e che “a tempo libero” lo avrebbe ammazzato, perché aveva saputo che Pardea aveva mandato una lettera a suo padre, Pantaleone Mancuso “Scarpuni”, dicendogli che lui non c’entrava niente nella faida e si tirava fuori. Aveva commesso una debolezza assoluta, con la quale aveva dato troppa importanza a “Scarpuni”. Pardea, in presenza di Moscato e Rosario Battaglia, aveva ammesso di aver mandato la lettera a Scarpuni e in quella circostanza l’attuale pentito gliene disse di tutti i colori.
La sete di vendetta del boss Bruno Emanuele
La sete di vendetta del boss Bruno Emanuele
Moscato si trovava nel gabbiotto in attesa della traduzione per andare a giudizio, quando Emanuele gli disse che appena sarebbe uscito avrebbe risolto tutti i problemi . Avrebbe ucciso Pantaleone Mancuso, il pentito Forastefano, “perché sa dov’è” e gli altri avversari che doveva uccidere, dopo di che non si sarebbe più fatto prendere: si sarebbe ritirato nelle montagne e avrebbe sparato fino a che non lo avrebbe ucciso, “lui diceva che, se non avesse fatto così, dopo aver regolato i conti, avrebbe fatto portare il lutto ai suoi familiari, facendo finta di essere morto di lupara bianca”. Nei verbali desecretati, Moscato riferisce che Bruno Emanuele ha sempre temuto il 41bis e che in carcere a Catanzaro aveva un filo di quelli che si usano per tagliare il ferro, mentre lui, il pentito, aveva la grappa barricata, grazie alle guardie carcerarie, tramite il detenuto capo sezione: “i capo sezione sono per la parte destra Salvatore Nicoscia e per la parte sinistra Giuseppe Cosco, al primo posto “Cecè” Lentini, cugino di Paolo Lentini”, quest’ultimo uomo di vertice della cosca Arena. Moscato riferisce che nel carcere di Frosinone con Paolo Lentini si era creato un fortissimo legame, tanto che lui quando scendeva al carcere di Catanzaro, lo presentava come un suo figlioccio così come ad altri, disponibile a spalleggiarmi nella guerra a Vibo Valentia.
Gli Arena, i Grande Aracri, i Mancuso e il pizzo su Catanzaro
I rapporti si intensificarono nel momento in cui avevano deciso che Lentini dovesse fare il compare di anello al matrimonio di Rosario Battaglia. Lentini gli parlava, nel suo dialetto stretto, delle alleanze che aveva avuto con gli Arena, raccontandogli che il giorno che era stato ucciso Carmine Arena si trovava a bordo di quella stessa macchina, che peraltro diceva essere sua e che solo per un caso, era sceso da quell’auto e “non era stato ucciso insieme a lui”. Lentini gli aveva parlato anche di un attentato che aveva avuto in quel periodo Nicolino Grande Aracri e di cui non si sapeva niente e di percepire direttamente il pizzo da due esercizi commerciali di Catanzaro, così come Nicolino Grande Aracri. Secondo il collaboratore di giustizia anche a Luigi Mancuso era stato proposto di prendere le estorsioni da alcuni esercizi commerciali del capoluogo di regione, ma si era rifiutato. I Grande Aracri avevano rapporti con i Mancuso “dalla parte di Luigi, infatti Rosario Battaglia mi disse che quando era in carcere a Catanzaro, Ernesto Grande Aracri si era proposto per fare da mediatore tra noi e i Mancuso, in particolare con “Luni Scapuni”. Della zona del Cirotano, Moscato non sa dire molto, se non quello che si diceva “nei nostri ambienti, in quanto noi non avevamo rapporti diretti. Sapevamo che erano una famiglia con molti uomini che venivano interpellati per fare da pacieri quando c’era qualche problema tra famiglie della zona, so che i Cirotani una volta erano alleati con i Pelle”.
Gli omicidi sulla coscienza di Mantella e i segni in carcere
Scrugli, dopo l’omicidio di Fortunato Patania, riferì a Moscato che a commettere l’omicidio Franzone erano stati quelli di Lamezia che gli avevano fatto un favore per ricambiare i molti omicidi in precedenza compiuti per loro. Scrugli, dichiara nei verbali desecretati, Moscato, aveva sulla coscienza una quindicina, venti omicidi, ma mai quanto quelli che ha sulla coscienza Andrea Mantella. “Tra di noi in carcere indicavamo le persone utilizzavando dei segni proprio per evitare di dare indicazioni verbali”. Moscato svela le modalità di comunicazione all’interno della Casa circondariale: quando poggiavano le dita sulle sopracciglia indicavano il boss Luigi Mancuso, se si toccavano i pantaloni si faceva riferimento a Nazzareno Colace, detto “Bragassina”, tostando la scarpa Pantaleone Mancuso detto “Scarpuni”, indicando con la mano la pancia voluminosa lo “zio melo” di San Gregorio; facendo il gesto con la mano, come per indicare una persona bassa, Saverio Razionale.
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