Reggono le accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e rivelazione, utilizzazione del segreto di ufficio, con l’aggravante mafiosa per l’imputato chiave del processo Rinascita Scott, nato dall’inchiesta che ha inferto un duro colpo alla cosche del Vibonese. Il Tribunale collegiale di Vibo, presieduto da Brigida Cavasino ha condannato l’ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli ad 11 anni di reclusione, assolto dalla sola accusa di abuso di ufficio, mentre la Dda di Catanzaro aveva invocato la pena più alta a 17 anni. Una condanna comunque pesante quella inflitta al noto penalista di Catanzaro che per la Direzione distrettuale antimafia ha dato il suo concreto, specifico e volontario contributo teso a rafforzare il clan Mancuso nella consapevolezza di favorirne un programma criminoso, travalicando i limiti del mandato difensivo. Non sono servite le dichiarazioni rilasciate in aula dal professionista per convincere i giudici ad emettere un verdetto di assoluzione: “Sono stato dipinto come una persona di collegamento tra la criminalità organizzata, il mondo politico, il mondo degli affari e quello della massoneria. Io intendo confermare che non sono stato, non sono e non sarò mai un mafioso. Penso che sia la cosa più terribile di cui un cittadino di questo Paese possa essere accusato. Nella mia vita professionale, politica e umana non ho mai agito in violazione della Legge Anselmi” (LEGGI).
I riscontri dei pentiti
I riscontri dei pentiti
Durante il dibattimento del maxi processo Rinascita Scott contro le cosche del vibonese sono stati tanti i collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sono state ritenute necessarie per la pubblica accusa per comprendere la caratura criminale di Pittelli. E’ lo stesso pentito Nicola Femia a dichiarare di essersi rivolto a Pittelli per poter trovare una soluzione alla grave situazione processuale in cui si trovava: “mi convoca a Roma nel suo ufficio e in quella occasione mi invita a portargli 50mila euro a titolo di acconto in quanto mi riferiva di aver trovato il modo per poter aggiustare con l’appello la sentenza di primo grado” (LEGGI) e Dante Mannolo fa il nome dell’ex parlamentare, indicandolo come tramite per la consegna del denaro dell’estorsione che Alfonso Mannolo, elemento inserito nella locale di San Leonardo di Cutro, avrebbe preteso in conseguenza della mediazione prestata la cessione di un terreno ricadente nel territorio di propria competenza e su cui era in progetto la realizzazione di un villaggio turistico. Anche il collaboratore di giustizia Angelo Santolla, fornisce, secondo la Dda, uno spaccato del tutto in linea col dichiarato degli altri collaboratori, sebbene non si addentri in vicende strettamente connesse ad attività corruttive ma si limiti a riferire l’atteggiamento collusivo che Pittelli avrebbe avuto con le cosche: “vi era una consapevolezza da parte dei nostri avvocati cosentini, a noi fatta chiaramente percepire, che l’avvocato Pittelli potesse essere quello in grado di arrivare alle informazioni necessarie. Ricordo che a lui veniva dato molto credito”.
“Prodigo nel mettersi a disposizione delle cosche”
Un’ulteriore testimonianza della vicinanza dell’imputato alle cosche di ‘ndrangheta, viene offerta dal pentito Antonio Genesio Mangone, dichiarazioni che attestano come Pittelli fosse visto dalle cosche come un personaggio in grado di disporre di un ventaglio infinito di conoscenze, prodigo nel mettersi a disposizione delle consorterie ricorrendovi ogni qualvolta fosse necessario “per sistemare le questioni e le problematiche che gli venivano poste”. E ancora le propalazioni di Francesco Farao, Nicola Acri e Domenico Antonio Critelli.
“Tramite la massoneria trait d’union tra mondo criminale e imprenditoriale”
Per la Dda ” il legale era universalmente riconosciuto come quella persona le cui conoscenze ed entrature erano sfruttabili da parte dei consociati per raggiungere qualsiasi obiettivo e a dare uno spaccato del penalista, trait d’union tra il mondo criminale e imprenditoriale, tramite la massoneria è il pentito Marcello Fondacaro, (anche il collaboratore di giustizia Maurizio Cortese), che riferisce di un progetto imprenditoriale turistico nel Lametino che avrebbe coinvolto due cosche e nell’ambito del quale Pittelli avrebbe assolto alla funzione di raccordo tra due poli criminali “garantire le comunicazioni con gli esponenti delle cosca Mancuso di Limbadi e la cosca Grande Aracri, sfruttando i propri canali massonici a tutto vantaggio delle attività delle cosche”.
La pena inflitta a Marinaro
Per l’ex maresciallo della Guardia di Finanza in servizio alla Sezione operativa della Direzione investigativa Antimafia del capoluogo calabrese Michele Marinaro, il Tribunale collegiale ha inflitto una pena 10 anni e 6 mesi di reclusione, mentre la Dda aveva chiesto 17 anni di reclusione. Lui avrebbe fornito ai vertici dell’associazione Mancuso, tramite il noto penalista catanzarese, con il quale era in diretto e costante contatto, notizie sulle attività investigative in atto nei confronti degli esponenti della ‘ndrangheta vibonese, commettendo anche specifiche rivelazioni del segreto di ufficio e raccogliendo indebitamente e fuori verbale informazioni dai collaboratori di giustizia la cui escussione veniva delegata dall’autorità giudiziaria. Dalle carte di Rinascita Scott è emerso come l’avvocato Pittelli fosse stato in grado di riferire al boss Luigi Mancuso alcune indiscrezioni relative al contenuto della collaborazione di Andrea Mantella.
Il legale sarebbe stato puntuale nel dire che ci sarebbero stati duecentocinquanta omissis nel verbale del collaboratore, che sarebbe accaduto un macello su Vibo, che ci sarebbero stati numerosissimi arresti. Il legale avrebbe anche avuto da ridire sul fatto che da quando è arrivato Gratteri la Procura era stata blindata e non riusciva ad avere le stesse informazioni assicurate prima dai suoi canali. E in un’altra occasione, a proposito della sua necessità di scoprire notizie utili sul processo “Gli intoccabili” celebratosi a Roma, avrebbe affermato che se ci fosse stato Michele le cose sarebbero state diverse. L’uomo a cui il noto penalista catanzarese farebbe riferimento sarebbe proprio Michele Marinaro, i cui stretti rapporti, sono dimostrabili dall’analisi dei tabulati telefonici relativi all’utenza in uso a Pittelli.
Le soffiate sulle dichiarazioni del pentito
Il 14 dicembre 2016 il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, viene interrogato da due marescialli della Dia, uno dei quali risulta essere proprio Marinaro. Il giorno prima di sentire il pentito, quindi il 13 dicembre 2016, Pittelli avrebbe inviato un sms al finanziere a cui è seguita una telefonata da parte d quest’ultimo all’avvocato. Già a partire da questa data, Pittelli sarebbe in grado di portare carte a Luigi Mancuso che lo aveva incaricato di scoprire il contenuto delle dichiarazioni del pentito. Ritornando indietro nel tempo le prime informazioni acquisite da Pittelli sul conto di Mantella e riferite ai Mancuso e Giovanni Giamborino risalgono al 29 luglio 2016: nella conversazione tra Giamborino e Rosario La Bella emerge chiaramente che Pittelli aveva già portato un fascicolo coperto da molti omissis. Quattro giorni prima di questa data, il 24 luglio 2016, sono documentati dieci contatti tra Pittelli e Marinaro.
La fonte riservata di Pittelli
Da una pluralità di elementi investigativi emerge che Pittelli si sentisse con Marinaro in prossimità dei giorni in cui riusciva a fornire informazioni riservate ai Mancuso e tutta una serie di riscontri induce a pensare che Michele Marinaro fosse la fonte di Pittelli. Marinaro risponde, inoltre, di rivelazione e utilizzazione dei segreti di uffici per violazione dei doveri inerenti le sue funzioni, perché “all’epoca in servizio alla Dia di Catanzaro rivelava a Giovanna Galgano, al fine di avvertire suo fratello Francesco Galgano, notizie di ufficio che dovevano rimanere segrete e ne agevolava la conoscenza”. Avrebbe messo in guardia i Galgano su un sequestro preventivo a carico di Claudio Scardamaglia, vicino ai Galgano, al quale avrebbe partecipato lo stesso Marinaro.
La sentenza nei confronti del colonnello Naselli
Per il colonnello dei carabinieri Giorgio Naselli che risponde di concorso in rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio, con l’aggravante di aver agevolato la ‘ndrangheta insieme all’ex senatore di Forza Italia, Giancarlo Pittelli, i giudici gli hanno inflitto a 2 anni e sei mesi, mentre la Dda aveva invocato una pena più pesante a ben 8 anni di reclusione . Per la Dda, il militare, avrebbe violato “i doveri inerenti alle sue funzioni, e comunque abusato della sua qualità di pubblico ufficiale”, acquisendo notizie d’ufficio, che dovevano rimanere segrete, per trasferirle all’avvocato catanzarese”. Nella nota depositata dal Ros vengono segnalate una serie di conversazioni telefoniche, intercorse tra Pittelli e Naselli, nel corso delle quali, l’avvocato chiedeva all’ufficiale dei Carabinieri di acquisire e di fornirgli informazioni sull’attività svolta dal Comando dell’Arma di Pioltello, in ordine all’escussione di un proprio assistito, per una vicenda concernente un assegno scoperto. Naselli, inoltre, avrebbe aiutato il noto penalista, rivelando notizie coperte da segreto sull’amministratore fittizio della M.C. Metalli srl, pratica pendente alla Prefettura di Teramo. In tale episodio è imputato anche l’imprenditore reggino Rocco Delfino, ritenuto l’effettivo dominus della “MC Metalli srl” e beneficiario della condotta. Per l’accusa “in violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità” della Pubblica amministrazione, “nonché in violazione del segreto istruttorio”, Pittelli e Naselli “intenzionalmente procuravano a Delfino un ingiusto vantaggio patrimoniale, concertando preventivamente le modalità e tempi di intervento per la definizione della “pratica” pendente l’Ufficio Territoriale del Governo di Teramo”.
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