di Mimmo Famularo – I favori agli affiliati e agli “amici degli amici” in ospedale, il monopolio nella vendita dei panini e delle bibite nelle scuole, il business delle cappelle al cimitero di Vibo. Andrea Mantella è un fiume in piena e nell’udienza di oggi si è soffermato anche sugli affari illeciti di una delle tre ‘ndrine presenti a Vibo città secondo le risultanze di “Rinascita Scott”, quella dei “Cassarola” guidata da Rosario Pugliese, il presunto boss del rione Affaccio sfuggito all’arresto nel maxi blitz della Dda di Catanzaro e catturato pochi mesi dopo dai carabinieri del Nucleo investigativo in una villetta della frazione marinara di Bivona. Si tratta del latitante applaudito da un nutrito gruppo di familiari che saputo dell’arresto si presentarono dinnanzi alla sede del Comando provinciale dove era stato portato per le formalità di rito prima di essere trasferito in carcere (LEGGI QUI).
Il profilo di “Saro Cassarola”
Il profilo di “Saro Cassarola”

Un capitolo della lunga deposizione del collaboratore di giustizia è dedicato proprio a Rosario Pugliese, inquadrato come “intraneo dei Lo Bianco” e “fedelissimo” di Francesco Fortuna, alias “Pomodoro”, il boss di Vibo ucciso in un agguato a Pizzo negli anni ottanta. Ancor prima di diventare un “raffinato imprenditore”, Saro Cassarola come viene definito nell’ambiente criminale sarebbe stato anche uno spietato killer. Almeno così lo dipinge Mantella tratteggiando le peculiarità della sua biografia. “Rosario Pugliese – riferisce al pentito al pm antimafia Antonio De Bernardo – è quello che ha sparato ad Antonello Muggeri mancandolo due volte ed è colui che ha ammazzato e bruciato i fratelli Domenico e Nicola Tambuscio”. Un duplice omicidio compiuto per vendetta perché i due avrebbero fatto sparire il fratello di Saro, Cecchino. Mantella racconta come i “Cassarola” riuscirono ad attirare in una trappola le due vittime appena uscite dal vecchio carcere di Vibo per un permesso premio. Era una domenica. “Li hanno aspettati a piazza Morelli, invitati a mangiare la ricotta alla masseria di Ciccio Pomodoro, Francesco Fortuna, e poi li hanno uccisi, bruciati e squagliati”. Cecchino Pugliese sarebbe stato invece ucciso con un colpo di pistola sparato alla testa. Il movente? “Un’offesa – sostiene Mantella – al padre di Michelino Pardea. I Tambuscio erano fedelissimi di Pardea, in carcere per omicidio. Hanno invitato Cecchino in macchina con la scusa di fare un giro a Cosenza, gli hanno fatto vedere una pistola e lo hanno sparato in faccia. Era giovanissimo, un ragazzo scalmanato e, alla fine, lo hanno tolto di mezzo”. Un omicidio che ha scatenato l’ira dei Pugliese e, in particolare, secondo quanto riferito da Mantella, di Rosario. “L’unico dei Lo Bianco che si poteva vantare di fare un omicidio era Saro Cassarola” sottolinea il pentito aggiungendo che lo stesso avrebbe ammazzato anche Antonio Pardea in un officina da fabbro ubicata in viale Affaccio. Alla base del delitto una relazione sentimentale con la donna sbagliata: “Lo hanno ucciso e lo hanno atterrato in una costruzione a Briatico”, rivela il pentito al pm De Bernardo nel corso dell’esame.
Gli affari al cimitero di Vibo
Rosario Pugliese, unitamente al suo braccio destro Orazio Lo Bianco e al fratello Carmelo, avrebbe gestito un macabro business all’interno del cimitero di Vibo. A raccontarlo in aula è lo stesso Mantella. “Ho chiesto a Rosario Pugliese e a Orazio Lo Bianco che dovevano trovarmi una cappella cimiteriale. In tempo reale hanno tolto i resti di alcuni defunti e li hanno gettati in una fossa comune con l’aiuto del guardiano del cimitero, tale Francolino. Hanno sistemato questa cappella, rifatto il tetto, cambiato la tabella esterna dove hanno scritto ‘famiglia Mantella’ e variato il nome anche sul registro dell’ufficio cimiteriale”. Un servizio per il quale l’ex boss scissionista dall’alto della sua autorevolezza non ha pagato. “Per avermi agevolato con la cappella attraverso mio cugino Salvatore Morgese – precisa a verbale il pentito – il Francolino mi chiese se potevamo fare il favore di far incendiare un furgone di un imprenditore idraulico che abitava a Sant’Aloe vicino alla Questura. Incaricai di bruciare il veicolo a Carmelo Chiarella. Cosa che fece. Era il 2009 o il 2010”. Il business delle cappelle avrebbe fruttato a Rosario Pugliese e ai suoi “soci” tra i 50 e i 60 mila euro a cappella. “Il sistema – racconta Mantella – era il seguente: loro di solito vendevano le cappelle delle famiglie per le quali non ci sono più i familiari. Dopo aver tolto i resti dei cadaveri e aver restaurato le cappelle le stesse venivano vendute al prezzo di 50 o 60 mila euro”.
Il monopolio del panini nelle scuola
I fratelli Pugliese avrebbero avuto anche il monopolio della vendita dei panini e delle bibite nelle scuole. “Non si tratta – osserva il collaboratore di giustizia – di un’attività lecita tanto è vero che Prestia Domenico, affiliato alla cosca dei Lo Bianco, mi disse che aveva messo una bomba al soggetto che lecitamente svolgeva la stessa attività e che aveva un chiosco all’ingresso dell’istituto tecnico industriale, ciò accadeva prima che venissi scarcerato nel 2009”. Mantella dice di essere stato sempre in buoni rapporti con Rosario Pugliese i e di aver utilizzato le conoscenze dei “Cassarola” all’ospedale “Jazzolino” di Vibo per ottenere “favori” dai medici e finanche “certificati falsi”. Una storia già nota alla cronache e raccontata in diverse salse da Mantella che ha definito il nosocomio vibonese una sorta di “cantina sociale”.
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