Rinascita Scott, Mantella traccia l’identikit delle “talpe” nelle forze dell’ordine

Il pentito svela i contatti con i carabinieri "infedeli" per avere notizie riservate: "I proprietari degli alberghi di Vibo ci davano altre informazioni sul personale che veniva da fuori"

di Mimmo Famularo – Il gruppo “scissionista” guidato da Andrea Mantella aveva almeno due “talpe” all’interno delle forze dell’ordine. Infedeli in divisa che facevano il doppio gioco: prendevano lo stipendio da carabiniere e, allo stesso tempo, passavano informazioni altamente riservate. Accadeva a Limbadi come raccontato dal pentito Emanuele Mancuso (LEGGI QUI), ma anche a Vibo come rivelato da Andrea Mantella nei verbali parzialmente desecretati e depositati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro nel maxi processo “Rinascita Scott”.

Una “spia” nel briefing del procuratore

Una “spia” nel briefing del procuratore

“C’era un carabiniere – spiega agli inquirenti l’ex boss scissionista oggi collaboratore di giustizia – che aveva assistito a una riunione avvenuta presso l’aeroporto tenuta dal procuratore Spagnuolo prima dell’operazione “Goodfellas” in cui si parlava di microspie in alcuni uffici. Questo carabiniere ci ha fatto sapere delle intercettazioni in corso e del luogo dove erano state posizionate le microspie che poi effettivamente sono state rinvenute a seguito di questa informazione da Salvatore Morelli, Antonio Pardea e Domenico Tomaino. Ci era stato riferito che le microspie erano state posizionate nelle prese e nel condizionatore dell’agenzia di noleggio che avevamo noi vicino la pasticceria”. Mantella traccia anche l’identikit del militare che forniva le soffiate: “Lo conosco di vista e saprei riconoscerlo in foto ma non conosco il nome. So che abita a Vena e che aveva in uso una vecchia Fiat 126. È robusto con gli occhiali e i baffi. Prestava servizio presso l’unità elicotteristi al Goc di Vibo. Lavorava in borghese e ha i capelli brizzolati più sul bianco che sul nero”.  Il carabiniere forniva anche informazioni utili sui movimenti del personale delle forze dell’ordine che andavano a pernottare prima di effettuare operazioni o perquisizioni. “Le stesse informazioni – sostiene Mantella – ci venivano date anche da altri soggetti che sapevano dove alloggiava il personale delle forze dell’ordine che veniva da fuori, come ad esempio, il proprietario del 501, dell’hotel San Leonardo Resort e dell’hotel Miramonti”.

Antonio, l’altra “talpa” in divisa

C’era un’altra “talpa” della quale si serviva il gruppo guidato da Andrea Mantella e anche in questo caso era un carabiniere. “E’ un ragazzo – rivela il pentito – che si chiama Antonio, non conosco il cognome ma so che lavora alla caserma a Vibo, sempre in borghese, aveva una Passat, ha gli occhi azzurri e i capelli castano chiari. Con me aveva un rapporto diretto e ci passava informazioni”. Mantella entra nello specifico e parla di notizie riservate in ordine ad alcune attività investigative che coinvolgevano i Bonavota specificando che mentre sulla cosca di Sant’Onofrio si muovevano i carabinieri, Mantella era “attenzionato” dagli investigatori della Questura di Vibo. “Mi disse che appena ci fosse stata qualcosa me lo avrebbe riferito. Mi informò anche di microspie messe dai Carabinieri ai Bonavota, mi riferì che i carabinieri facevano degli appostamenti a Sant’Onofrio con un furgone bianco con vetri oscurati. Un giorno ci disse che c’era una station-wagon dei carabinieri appostata nei pressi del suocero di Domenico Di Leo”.

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