di Mimmo Famularo – Uno ha un soprannome indicativo “Sapi tuttu” (sa tutto); l’altro è il figlio del capo di una delle tre ‘ndrine di Vibo. Entrambi sono stati arrestati nella maxi inchiesta denominata “Rinascita Scott” ed entrambi da qualche settimana stanno collaborando con la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. I nomi dei due nuovi pentiti della ‘ndrangheta vibonese sono stati anticipati in esclusiva da Calabria7 proprio ieri pomeriggio. Gaetano Antonio Cannatà, alias “Sapi tuttu”, 46 anni di Vibo; e Michele Camillò, 38 anni, figlio di Domenico, ritenuto il capobastone della ‘ndrina dei “Pardea Ranisi”, vanno ad infoltire la già ricca pattuglia di collaboratori di giustizia a disposizione del pool di magistrati guidati da Nicola Gratteri. Le loro dichiarazioni già fanno tremare boss e gregari dei clan di Vibo e sembrano destinate a dare un colpo mortale alle cosiddette “nuove leve”. A tracciare il profilo dei neo-pentiti è la penultima “gola profonda” della malavita vibonese: Bartolomeo Arena.
Il profilo di “Sapituttu”: da Insomnia a Rinascita-Scott
Il profilo di “Sapituttu”: da Insomnia a Rinascita-Scott

Gaetano Antonio Cannatà è un nome noto agli investigatori vibonesi e alla Dda di Catanzaro che lo aveva già arrestato nel 2014 nel corso dell’operazione antiusura denominata “Insomnia” e fatto condannare a 6 anni di reclusione. Lo scorso 19 dicembre era stato arrestato nel blitz di “Rinascita Scott” con l’accusa di associazione mafiosa e abusivo esercizio di credito finanziario. Ritenuto affiliato alla ‘ndrina dei “Lo Bianco-Barba”, Cannatà è imparentato con una famiglia molto influente negli ambienti criminali vibonesi, quella dei D’Andrea, meglio conosciuti con l’appellativo di “coscia d’agneiu”. Di lui gli inquirenti sottolineano “la sua appartenenza alla consorteria dei Lo Bianco quale soggetto dedito stabilmente al giro di usura a vantaggio della cosca e di esercenti”. Tra le migliaia di pagine della maxi inchiesta Rinascita-Scott un piccolo paragrafo è dedicato proprio a Gaetano Antonio Cannatà e di lui Bartolomeo Arena dice testualmente: “E’ stato arrestato nell’operazione per usura eseguita dalle denunce sporte da Barone. In una circostanza ricordo di avergli venduto una 9×21 per 1.400 euro che io avevo acquistato da Angelo Andreacchi. La pistola serviva per una suo amico, tale Marando di Rosarno, coinvolto nella stessa operazione in cui è stato arrestato Cannatà. So che è sotto usura di ‘Pino Luna’, fratello di Enzo ‘il Musichiere’ e che è attualmente detenuto”. Altro particolare di non poco conto, Cannatà ha gestito per un lungo periodo un bar nel quartiere Affaccio, alla periferia sud di Vibo, crocevia di personaggi legati agli ambienti della criminalità locale. Il pentimento di “Sapituttu” mette dunque in fibrillazione buona parte della malavita vibonese.
Il rampollo del boss e le auto incendiate a Vibo

Più giovane e articolato il profilo di Michele Camillò che fa tremare tutta la ‘ndrina dei “Pardea Ranisi” di cui il padre Domenico è l’anziano reggente. Arrestato in “Rinascita Scott” con l’accusa di armi, danneggiamento ed estorsione, il 38enne di Vibo è uno degli esponenti di spicco delle “nuove leve”. Cresciuto al fianco di Domenico Macrì, detto “Mommo” ma anche insieme al cugino Bartolomeo Arena che avrebbe partecipato alla sua affiliazione portandolo in “copiata” con la dote di “camorrista”. “Si occupa – dice il collaboratore di giustizia agli inquirenti parlando di Camillò – dello spaccio di cocaina unitamente a Costantino Panetta di professione elettrauto, il quale è suo socio in un negozio di sigarette”. A Camillò vengono imputati una serie di danneggiamenti. Arena fa un lungo elenco di auto incendiate con la diavolina dal figlio di Domenico Camillò: “Ricordo – rivela il pentito – che la polizia municipale di San Costantino Calabro aveva elevato una sanzione amministrativa a mio zio Domenico Camillò. Mi presi a cuore personalmente di scoprire chi fosse l’autore di tale multa e, una volta scoperto, mio zio mandò il figlio Michele e Antonio Chiarella ad incendiare l’auto del vigile urbano”. Arena accusa il cugino di essere l’esecutore materiale (sempre su mandato del padre) del danneggiamento dell’auto della sorella del dottore Michele Soriano che, da componente della commissione sanitaria che si occupa di riconoscere l’invalidità, non aveva esaudito una richiesta di Domenico Camillò per la concessione di una pensione. Auto incendiate a esponenti di forze dell’Ordine, professionisti, imprenditori ma anche affiliati. Bartolomeo Arena ricorda un altro episodio e racconta quando in fiamme andò la Fiat Bravo di Orazio Lo Bianco, esponente di punta dei “Pugliese-Cassarola”. L’autore fu sempre lui, Michele Camillò. Non un pesce piccolo, insomma, ma un’azionista che conosce evidentemente fatti, circostanze e personaggi della ‘ndrangheta di Vibo.
Rinascita Scott, in aula spuntano i nomi di due nuovi pentiti