Rinascita Scott, Pittelli in aula: “Giudicatemi senza pregiudizi e diate ascolto alla coscienza”

Le dichiarazioni spontanee dell'ex parlamentare di Forza Italia: "La mia vita disintegrata. Lotto per la mia famiglia e vi spiego perché non sono e non sarò mai un mafioso"

Ventuno minuti esatti di dichiarazioni spontanee. Nell’aula bunker di Lamezia Terme irrompe Giancarlo Pittelli, uno degli imputati “eccellenti” del maxiprocesso “Rinascita Scott”. Abito grigio, camicia bianca, volto tirato, l’ex parlamentare di Forza Italia spezza il lungo silenzio e torna a parlare. Lo fa con al fianco l’avvocato Giandomenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere Penali. Alle sue spalle gli stessi rappresentanti della Camera Penale di Catanzaro, da sempre vicini e solidali alla sua causa. In aula è presente anche l’avvocato Guido Contestabile mentre l’avvocato Salvatore Staiano è atteso per il gran finale di sabato a conclusione della sua discussione iniziato con un ricco antipasto nella giornata di ieri. La difesa di Pittelli è un’arringa lucida, il linguaggio è sciolto, l’intercalare non mostra cedimenti. Più che un imputato è l’avvocato di se stesso, determinato a smontare punto su punto ogni singola accusa, a dimostrare la sua innocenza. Giancarlo Pittelli non è un uomo vinto e la sua battaglia punta ancora a vincerla malgrado le sofferenze che si percepiscono comunque nella voce. Per la sua famiglia, sua moglie, la sua giovane figlia, soprattutto. Lo dice nella parte finale del suo intervento.

“Non sono stato, non sono e non sarò mai un mafioso”

“Non sono stato, non sono e non sarò mai un mafioso”

In avvio precisa di non aver partecipato al dibattimento non per mancanza di fiducia nel collegio ma per motivi diversi. “Ho cercato in questi anni di rimettere insieme i cocci di una vita disintegrata”. Ribadisce di non aver reso interrogatorio di garanzia successivamente all’arresto perché non conosceva le ragioni dell’accusa. “In una notte – spiega – avrei dovuto leggere 30mila pagine”. Pittelli parla di vicenda tristissima nella quale è finito: “Sono stato dipinto come una persona di collegamento tra la criminalità organizzata, il mondo politico, il mondo degli affari e quello della massoneria. Io intendo confermare che non sono stato, non sono e non sarò mai un mafioso. Penso che sia la cosa più terribile di cui un cittadino di questo Paese possa essere accusato. Nella mia vita professionale, politica e umana non ho mai agito in violazione della Legge Anselmi”. A proposito di massoneria, Pittelli ammette di essere stato iscritto dal 1988 al 1993 ma di aver abbandonato per “mancanza di tempo” da dedicare all’istituzione e, ulteriore precisazione, di “non aver mai fatto parte di logge segrete massoniche, irregolari o occulte le quali io disconosco“. E ancora: “Per vent’anni mi sono portato appresso la diceria sull’appartenenza a una loggia massonica deviata e quindi alla violazione della Legge Anselmi ma io non ho avuto vantaggi né dalla massoneria, né dalla politica, non mi sono arricchito e i miei conti correnti sono sotto gli occhi di tutti”. Nel corso del dibattimento è stato dipinto da diversi collaboratori di giustizia come l’avvocato in grado di aggiustare i processi. Pittelli respinge al mittente anche questo genere di accusa e ricorda: “Quando si è riusciti ad individuare uno specifico processo che io avrei accomodato si è scoperto che i magistrati che avrei corrotto sono tra le persone più oneste e più integerrime del distretto giudiziario e non solo”.

L’appunto e le rivelazioni del giornalista “amico”

Centrale nella sua “arringa” la vicenda dell’appunto trovato dai Ros nel suo studio nella notte del maxi blitz che ha portato al suo arresto. Un appunto finito agli atti del processo e ritenuto molto importante dall’Ufficio di Procura. Rivela di aver saputo da un suo amico giornalista di essere oggetto di alcune indagini da parte della Dda di Catanzaro. “Quegli appunti – sostiene in aula – sono il sunto di pensieri che di volta in volta annotavo, strappavo, rimodulavo e che io stesso ho consegnato spontaneamente alla polizia giudiziaria nella ipotesi in cui io fossi stato sottoposto ad un interrogatorio“. Appunti scritti con penne di colore diverso e con annotazioni varie, la maggior parte delle quali – evidenzia – senza alcun collegamento con “Rinascita Scott”. “Se leggete con attenzione, senza pregiudizio, l’appunto noterete che manca il nome di Mantella. Se avessi dovuto avere notizie, così come ci sostiene da parte dell’accusa, la prima cosa che avrei annotato era il nome di Mantella che è il principale accusatore di me stesso. Tutto ciò che avevo scritto era relativo a fatti spiacevoli avvenuti nella mia vita che mi avevano turbato profondamente“.

Il rapporto con l’ex 007 Marinaro

Poi chiarisce un ulteriore aspetto. Il nome del maresciallo scritto nell’annotazione: “Non è Marinaro (l’ex 007 imputato nel maxi processo n.d.r.) ma tale Ercole d’Alessandro che io definisco in una intercettazione che voi avete un vero delinquente perché si era presentato nel mio studio con una scusa riferendomi alcune cose che mi porterò nella tomba ma che suscitarono la mia indignazione più profonda”. Pittelli parla del rapporto che aveva con Michele Marinaro: “Avevamo un rapporto di amicizia affettuosa soprattutto nel momento in cui le nostre madri stavano per morire. Sono state ammalate un anno e mezzo tutte e due e sono morte in epoca coeva”.

“Non ho mai chiesto nulla di illecito a Luigi Mancuso”

L’accusa più grave è ovviamente quella di aver agevolato il clan Mancuso di Limbadi. “A Luigi Mancuso non ho mai chiesto nulla di illecito e, devo essere sincero, non ho avuto mai richieste di condotta illecita in suo favore. C’è sempre stato un rapporto di reciproco rispetto. Io non sono mai andato alla ricerca di verbali secretati e la conversazione che prova l’inesistenza di una condotta disvelamento è contenuta nella captazione il 19 novembre del 2016. Io sono stato monitorato per tre anni e non c’è nulla sull’argomento. Io dico a Giamborino perché Luigi Mancuso si è reso volontariamente irreperibile: ha paura del pentito? No e allora si consegni perché io non posso consegnarli nulla e io non so cosa dirà il pentito”.

L’appello al Collegio giudicante

La parte finale dell’intervento è un appello al Collegio giudicante affinché valuti senza pregiudizi e con coscienza. Pittelli si rivolge direttamente al presidente Brigida Cavasino. “Io ho subito in questi quattro anni danni inenarrabili che non potranno mai essere riparati. Ho tentato con tutte le mie forze e con il cuore in mano di trasformare il dolore e la mortificazione in forza. Lo ho fatto soltanto per la mia famiglia. Io oggi ho settanta anni e non ho molto da aspettarmi ancora dalla vita. Io mi aspetto soltanto da voi un giudizio scevro da pregiudizi che riesca a superare il clamore mediatico generato attorno alla mia persona. Mi auguro che diate ascolto soltanto alle vostre coscienze e al contenuto inequivoco dei dati processuali”.

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