Il Tribunale del Riesame di Catanzaro presieduto da Mario Santoemma (giudici Filippo Aragona e Arianna Roccia) ha revocato il sequestro della Tabaccheria di Rosa Serratore, la moglie di Nicola Bonavota, ritenuto dagli inquirenti esponente di spicco dell’omonimo clan operante a Sant’Onofrio e dintorni, provincia di Vibo Valentia. Tra i beni sequestrati nell’ambito della maxi inchiesta Rinascita Scott c’era infatti anche l’esercizio commerciale ubicato nel centro abitato di Sant’Onofrio e finito in una complessa vicenda giudiziaria fatta di ricorsi e controricorsi. Per la Dda di Catanzaro sarebbe stato solo formalmente intestato alla Serratore per sottrarlo ad eventuali misure di prevenzione patrimoniale a cui avrebbe potuto essere sottoposto Nicola Bonavota, considerato il “dominus” della tabaccheria.
L’insussistente intestazione fittizia del bene
L’insussistente intestazione fittizia del bene
Il Tribunale del Riesame, in sede di rinvio, aveva già annullato il provvedimento di sequestro dopo che la Corte di Cassazione si era espressa ritenendo insussistente l’ipotesi accusatoria dell’intestazione fittizia del bene. Il Tribunale di Vibo aveva però rigettato un prima richiesta presentata dall’avvocato Tiziana Barillaro che si è appellata nuovamente al Riesame per far valere le ragioni della propria assistita. Tra una discussione e un’altra è trascorso un anno. La tabaccheria è finita in amministrazione giudiziaria ed è stata poi chiusa. Ora arriva il verdetto dei giudici catanzaresi che, oltre a revocare il sequestro, hanno ordinato la restituzione del bene all’avente diritto, ovvero Rosa Serratore.
“Ora azione civile contro l’amministrazione giudiziaria”
“Il provvedimento liberatorio – commenta l’avvocato Tiziana Barillaro – arriva in ritardo rispetto al punto fermo che la Corte di Cassazione aveva fissato a settembre 2020, sostenendo la mancanza di gravità indiziaria proprio in relazione all’attività di tabacchi, escludendone la riconducibilità alla cosca Bonavota. Nel frattempo, in attesa che si prendesse atto di una situazione conclamata, abbiamo tentato in tutti i modi di intavolare un confronto con l’amministrazione giudiziaria, che stava portando l’attività alla chiusura con una gestione assente e noncurante, senza ottenere mai risposta alle numerose missive inviate. Per cui oggi la prima azione che intendiamo esercitare è proprio diretta contro l’amministrazione, che a nostro avviso è responsabile dello stato di dissesto a cui è arrivata un’attività che non ha mai conosciuto crisi. L’obiettivo è – oltre che far ripartire l’impresa – quello di contribuire a reprimere un fenomeno grave, che è proprio quello della gestione non competente e svolta con superficialità che troppo spesso caratterizza le attività sequestrate”.