Rinascita Scott, si pente un imprenditore: tremano boss e gregari della ‘ndrangheta

Dagli affari con il luogotenente dei Mancuso ai tentativi di vendere droga nello Stadio della Juve: le prime rivelazioni alla Dda di Catanzaro

di Gabriella Passariello- Sul traffico di droga e di armi, su boss e affiliati alla cosche del Vibonese c’è una nuova gola profonda pronta a svuotare il sacco. Si tratta del neo collaboratore di giustizia Antonio Guastalegname, 54 anni di Vibo Valentia, imputato in Rinascita Scott per associazione finalizzata al traffico e detenzione di stupefacenti, “reo”, secondo le ipotesi di accusa, di aver portato droga, marijuana, ma anche cocaina, che arriva dal Brasile e dall’Albania, dal Sud al Nord Italia, fino in Piemonte. Lo stesso Guastalegname condannato in appello a 30 anni per rapina e per l’omicidio di Manuel Bacco, il tabaccaio astigiano di 37 anni, ucciso nel suo negozio di corso Alba il 19 dicembre del 2014. Il primo interrogatorio davanti al pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo risale a gennaio scorso.

“Mi pento perché tutti mi hanno abbandonato”

“Mi pento perché tutti mi hanno abbandonato”

“Ho intenzione di collaborare con la giustizia, perché dopo la condanna per omicidio sono stato abbandonato da tutti. Avrebbero dovuto sistemarmi il processo, ma mi hanno lasciato da solo, in generale ho perso tutto”. Sono queste le prime parole pronunciate davanti al magistrato al quale riferisce di poter essere in grado di fornire notizie su Giuseppe Antonio Accorinti, Nazzareno Colace, Totò Pronesti, Valerio Navarra, Saverio Razionale, Nino Accorinti di Briatico, su esponenti della famiglia Piccolo di Nicotera, e  su Luigi Mancuso “anche se non l’ho direttamente mai conosciuto”. Il pentito dichiara di non essere affiliato alla ‘ndrangheta ma di essere stato in contatto con esponenti della criminalità organizzata.

Gli affari con il luogotenente dei Mancuso

Il suo contatto fisso è sempre stato Nazzareno Colace, presunto luogotenente dei Mancuso, che lo andava a trovare ad Asti. “Dal 1999 mi sono trasferito in Piemonte, io all’epoca ero sotto usura di Nazzareno Colace, poi non riuscendo a pagare mi sono allontanato dal territorio di Vibo Valentia. Successivamente dopo aver iniziato a lavorare con la mia impresa, sono riuscito a sistemarmi economicamente. Nel 2001 sono risceso a Vibo e per via di mio cugino, che me la forniva, ho iniziato a trafficare cocaina anche per togliermi i debiti derivanti dall’usura a cui ero sottoposto”. I contatti con Vibo riprendono dopo il 2010,  Nazzareno Colace lo va a trovare ad Asti, avendo saputo che lui sarebbe stato in grado di recuperargli delle armi. “In quel periodo sapevo che c’era la faida in corso in provincia di Vibo Valentia e gli servivano armi, anche perché lo stesso Colace mi diceva che gli servivano per questo motivo”. Del trasporto delle armi se ne sarebbe occupato lo stesso pentito trasportandole in macchina fino in Calabria. Il collaboratore di giustizia accenna ad un rapporto con Antonio Pronesti, il presunto braccio armato della famiglia Mancuso, avvenuto in occasione in cui Nazzareno Colace “aveva la necessità di interessarsi di un lavoro sulla zona del Nuovo Pignone, nella zona industriale di Vibo, appaltata da una ditta di Novara e subappaltata alla ditta Lo Bianco di Porto Salvo”. L’obiettivo di Colace sarebbe stato quello di favorire la ditta Ruggiero di Vibo Marina che doveva sostituirsi a quella dei Lo Bianco. “In quel periodo, Pronesti si era stabilizzato a Milano dove era in contatto con la famiglia Papalia e dove curava i servizi di buttafuori nei locali. La ditta a cui mi riferisco stava eseguendo dei lavori al Pignone, ed io ho curato questo ‘cambio ditta’ su mandato di “Zio Luigi” (Luigi Mancuso ndr), sebbene io non lo abbia conosciuto direttamente”. Ci fu anche un’altra circostanza in cui il pentito venne chiamato nuovamente da Colace per scendere in Calabria. “Sono stato portato a Briatico da Nino Accorinti, (presunto boss di Briatico), il quale mi contestava di avere un debito di cocaina risalente al 2002, durante il periodo in cui mi hanno arrestato. La droga fornita da mio cugino era degli Accorinti” e il totale del debito ammontava a 10mila euro.

I tentativi di vendere la droga nello Stadio della Juve

Dopo il 2016 Peppone Accorinti, il boss di Zungri confidò al pentito la necessità di entrare in Piemonte con la vendita di cocaina ed erba, anche in forza dei miei rapporti con i Drughi della Juventus. “Sono in grado di riferire sulle cessioni di stupefacenti al gruppo di tifoseria Drughi, il cui capo è di Asti. Io avevo dei contatti con questo gruppo” e la volontà di Colace e di un’altra persona il cui nome allo stato è omissato era da inserirsi nella vendita di stupefacente all’interno dello stadio. “La cosa non andò in porto a causa dell’arresto di Nazareno Colace. Successivamente anche Peppone Accorinti voleva entrare nello Stadio della Juventus con la vendita di stupefacente, motivo per il quale ci fu un incontro anche con la famiglia Pesce. Ho organizzato l’incontro tra Colace e i Drughi di Asti in un albergo dove soggiornavano i Vibonesi. I Drughi dissero che erano già in accordi con i Pesce di Rosarno e Colace rispose che anche loro lo erano”. Il pentito precisa che sull’apertura di un canale di spaccio nello stadio della Juventus tramite i Drughi, Giuseppe Antonio Accorinti lo convocò  tramite Ivan Colace, figlio di Nazzareno. Accorinti, gli avrebbe proposto affari anche in relazione alla compravendita di auto.

Il processo da sistemare dando la colpa al figlio del carabiniere

L’interrogatorio viene intervallato da una serie di omissis e ad un certo punto il collaboratore di giustizia riferisce di essere stato in cella “nel corso del processo con Giuseppe Antonio Piccolo e mio figlio. Piccolo disse che dovevamo sistemare questo processo, dando la colpa al figlio del carabiniere, perché era una volontà di Zio Luigi, altrimenti sarebbero successe cose brutte”.

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