Una “torta” di 23 milioni di euro che qualcuno voleva spartirsi, società hoff shore con sedi in Israele e Cipro che trattavano armi, inquietanti intrecci con faccendieri ed emissari. Tutto questo, leggendo le carte della magistratura e della Digos, si celava dietro l’affare Safe City, portato avanti a tempo di record dal sindaco Abramo e dal suo staff, sulla base di una mail protocollata appena due ore prima della riunione di giunta con cui si conferiva l’incarico. Se non fosse stato per l’opposizione delle associazioni cittadine, l’operazione più inquinata e torbida della storia del Comune di Catanzaro sarebbe andata a buon fine. Senza la “resistenza” democratica dei cittadini che avevano fiutato che qualcosa di marcio c’era in quel faraonico progetto difeso a spada tratta da Abramo e dai suoi colonnelli, la collettività calabrese avrebbe sborsato la bellezza di 23 milioni di euro, oltre le manutenzioni annuali, per tappezzare di telecamere ogni angolo della città”. É quanto si legge nella nota del gruppo consiliare “Fare per Catanzaro” sulla questione Safe City,
Solo quando hanno annusato il pericolo, il sindaco e i suoi si sono affrettati a chiudere questa scottante trattativa, prendendo atto che la Regione Calabria non aveva più a disposizione i 23 milioni di euro richiesti.
L’archiviazione dell’inchiesta e la prescrizione dei gravi reati per Abramo e gli assessori dell’epoca non cancellare l’enorme gravità di quanto accaduto.
Il sindaco, che tira un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo (e non è la prima volta che le prescrizioni lo salvano), non può fare finta di niente, anche perché noi dell’opposizione abbiamo sottolineato l’inquietante analogia tra quella storia e l’affare Global Strade che si starebbe consumando con gli stessi metodi spregiudicati.
Come opposizione chiediamo che di questa oscura e torbida vicenda, che vede il sindaco e i suoi collaboratori coinvolti in pieno, si discuta in Consiglio comunale. Avanzeremo una specifica richiesta al presidente dell’Assemblea. Pretenderemo che venga fuori la verità, in parte rivelata dall’inchiesta della Digos, sulle procedure compiute “in evidente spregio del più elementare principio operante nell’affidamento di commesse pubbliche”, come ha scritto la Procura della Repubblica, sulle pressioni che sarebbero state operate nei confronti della Regione per ottenere il finanziamento di 23 milioni. In una città normale, il sindaco, davanti a questo quadro inquietante, non esiterebbe un attimo a dimettersi.
Redazione Calabria 7