Fa luce anche sul sequestro di persona di due minori l’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e condotta sul campo dai carabinieri che ha portato all’esecuzione di 19 misure cautelari. Tutto nasce proprio da qui. Un sequestro a scopo di estorsione. Uno dei due minori avrebbe commesso ai danni di uno dei due gruppi criminali il furto di un’irrisoria quantità di sostanze stupefacente poi successivamente rivenduta a un’altra persona. E’ il settembre del 2017. L’attività investigativa della Compagnia di Reggio Calabria entra nel vivo un mese dopo. Tre anni di indagini e oggi il blitz, con l’operazione denominata in codice “Sbarre”.
Il furto di droga e il sequestro dei minori
Il furto di droga e il sequestro dei minori
Più dettagliatamente i sequestratori sono stati identificati in Giuseppe Chillino, Anouar Azzazi, Gabriele ed Andrea Foti, i quali avrebbero privato i due minorenni della libertà personale, costringendoli a rimanere, per un determinato arco temporale all’interno di una abitazione sita in via Bolzano e anche in una cantina di viale Europa. Secondo quanto emerso dalle indagini, gli indagati hanno minacciato i due minorenni anche con l’uso di armi, oltre ad averli legati ed imbavagliati con l’intento di costringerli a confessare la sottrazione dello stupefacente ed imporre la restituzione o comunque il pagamento del controvalore. Le vittime sarebbero state liberate solo grazie all’intervento di Antonio Sarica che si impegnava ad assumere “in proprio” il loro debito, versando la somma in favore dei sequestratori.
Il servizio di “guardiania” e i messaggi in codice
Secondo quanto emerso in seno all’attività d’indagine, i soggetti gravitanti intorno alla figura del Chillino si erano organizzati in modo da assicurare, nella zona dello spaccio, un costante controllo del territorio, stabilendo turnazioni a tutela dell’attività di spaccio e secondo le direttive fornite dai capi gruppo mediante un penetrante servizio di “guardiania”. L’attività d’indagine ha fatto luce sulla contabilità tenuta dal gruppo di spacciatori, essendo emerso che gli stessi fossero soliti annotare le quotidiane transazioni di droga su fogli manoscritti nei quali, sia pure in modo del tutto rudimentale, mantenevano una sorta di bilancio dell’attività, in modo da monitorare i rapporti di dare-aver in capo a ciascun “pusher”. Il gruppo, per scambiare messaggi e indicazioni sul da farsi con lo scopo di eludere eventuali identificazioni esterne, utilizzava “utenze operative occulte”, in quanto spesso formalmente intestate a cittadini di origine extracomunitaria (non dimoranti nel territorio reggino) ma effettivamente utilizzate, come accertato dagli operanti e che non lasciano margini per l’individuazione dei reali conversanti, riconducibili agli odierni indagati. In particolare, lo schema adottato dagli appartenenti al gruppo era quello di utilizzare le utenze per scambiare prevalentemente messaggi di testo dal contenuto più o meno criptico, ove i conversanti, per non essere immediatamente identificati, facevano ricorso ai propri epiteti (“Talpa”, “Avvocato”, “Centro”), e contenenti “comunicazioni di servizio”. Le indagini hanno consentito di accertare che il gruppo avesse mire espansionistiche che hanno condotto alcuni degli associati a spostarsi sul territorio nazionale ed a svolgere una parte della propria attività di spaccio in altra regione, ossia il Veneto, ove poteva contare del sostegno di alcuni associati e familiari.
L’altro gruppo e il business della marijuana
Il secondo gruppo criminale sarebbe riconducibile a Antonio Sarica e – secondo l’ipotesi accusatoria – si è caratterizzato per la sistematica e professionale dedizione allo spaccio dei suoi componenti. “Costoro – spiegano i carabinieri – hanno operato in un contesto organizzato, caratterizzato dalla presenza di grossisti capaci di garantire costanti forniture di droga (in prevalenza “marijuana”) ed in grado di soddisfare le richieste di una pletora di abituali ed affezionati clienti. Gli affiliati hanno dialogato -per gli approvvigionamenti dello stupefacente- anche con rappresentanti delle locali famiglie di ‘ndrangheta, compiacendosi del riconoscimento loro attribuito da parte delle locali ‘ndrine e muovendosi con agilità nel sottobosco criminale reggino per rifornirsi diuturnamente e freneticamente dello stupefacente da collocare sul mercato”. I principali e più dinamici componenti dell’associazione, sarebbero Antonio Sarica (detto Totò), Andrea Pennica (detto “Barone” o “Anderson”) e Gianluca Mirisciotti (detto “Pupo”). Le intercettazioni li descrivono come soggetti che si muovono sinergicamente sul territorio, acquistando sostanza stupefacente (prevalentemente “marijuana”, senza però disdegnare la “cocaina”) da rivendere al dettaglio. Nel corso delle indagini è emerso come i tre si rivolgessero a taluni grossisti di riferimento e si dedicassero successivamente al piccolo spaccio, con modalità collaudate e professionali.
Anche con riguardo a questo secondo gruppo criminale è stato delimitato il territorio sul quale lo stesso opera, ricompreso tra la via Sbarre Centrali e Viale Calabria di Reggio Calabria più nel dettaglio all’interno di detta area sono stati individuati alcuni luoghi, convenzionalmente indicati come “il parco”, “il muretto”, “il palo”, che costituiscono il punto di ritrovo o il luogo di occultamento della sostanza stupefacente o delle somme di denaro provento dallo spaccio.
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