Sbranata da un branco di cani a Satriano, il gup: “Morte evitabile, ma il pastore non voleva ucciderla”

Il giudice in 14 pagine spiega perché ha sentenziato soli 3 anni di reclusione per il pastore, nonostante il pm avesse chiesto 5 volte di più
funerali Simona cavallaro

Non c’è stato dolo, non voleva che quella ragazza di appena venti anni con tanti sogni ancora da realizzare e una vita davanti, facesse quella terribile fine e non aveva nemmeno previsto le conseguenze drammatiche derivanti dall’aver demandato ai suoi cani il controllo del gregge.  Il gup del Tribunale di Catanzaro Sara Merlini in quindici pagine spiega i motivi del verdetto sentenziato il 27 giugno scorso, giorno in cui ha condannato a soli 3 anni di reclusione il pastore Pietro Rossomanno, (46 anni), residente a Satriano, ritenuto responsabile dell’omicidio di Simona Cavallaro, sbranata da un branco di cani, in località Monte Fiorino, nel Comune di Satriano, nel Catanzarese. Una condanna di gran lunga inferiore rispetto alla richiesta a 15 anni formulata dal pm Irene Crea in aula, al termine della requisitoria. Il gup, dopo aver ascoltato le arringhe difensive degli avvocati Salvatore Staiano e Vincenzo Cicino, ha riqualificato per l’uomo, imputato anche per introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui, pascolo abusivo, invasione di terreni ed edifici, l’omicidio volontario in omicidio colposo, mentre ha inflitto 8 mesi di reclusione alla madre Maria Procopio, (69enne), anche lei residente a Satriano. La donna in concorso con Rossomanno avrebbe  invaso (per occuparlo) il terreno in località San Nicola destinato a pascolo di proprietà del Comune di Satriano, (costituitisi parte civile e rappresentato oggi dall’avvocato Angela La Gamma)dove è stato trovato un ovile utilizzato per porre al riparo il gregge. I familiari della vittima erano invece assistiti dall’avvocato Valentina De Pasquale.

“Il pastore, se presente, avrebbe potuto tenere a bada i cani”

“Il pastore, se presente, avrebbe potuto tenere a bada i cani”

 Se il pastore fosse stato presente in quegli attimi terribili, avrebbe potuto con un alto grado di probabilità evitare la morte della ragazza. “Come si è avuto modo di apprendere dalle sommarie informazioni  e nel corso delle operazioni di recupero dei cani, la presenza di Rossomanno sul luogo dei fatti si era rivelata fondamentale nell’indirizzare gli animali altrove e nel placare i loro eventuali atteggiamenti aggressivi. Riconoscevano solo in lui l’ autorità. Per il gup, non ci sono dubbi sul fatto che l’imputato se fosse intervenuto richiamando gli animali avrebbe ammansito il loro atteggiamento aggressivo. “Rossomanno nel momento in cui alle 7 del 26 agosto 2021 aveva deciso di liberare nella pineta di Monte Fiorino il gregge controllato dai cani, per poi ritornarvi nel tardo pomeriggio, ha violato l’obbligo di sorvegliare il gregge e i cani, i quali per loro inclinazione naturale avrebbero potuto sviluppare un atteggiamento aggressivo nei confronti di persone sconosciute, viste come una minaccia per il gregge”. Con un ma, non di poco conto. Il comportamento del pastore è ascrivibile a disinteresse, noncuranza, spregiudicatezza, e  nonostante il suo poter prevedere ed evitare la morte di Simona, non è dimostrata “la diretta volontà tesa a provocarne la morte. Non è omicidio volontario ma colposo”. 

Le urla di aiuto, i soccorsi e la scena straziante

Simona, quel maledetto giorno, con un suo amico va nella pineta di Monte Fiorino, una sorta di sopralluogo dell’area pic-nic attrezzata, per organizzare un’uscita con gli amici la domenica successiva. Mentre i giovani perlustrano la zona, arriva un gregge accompagnato da alcuni cani, i quali si mostrano docili e tranquilli, al punto che l’amico registra un video di Simona insieme agli animali, suggerendo di attendere il passaggio del gregge all’interno di una struttura, simile ad una chiesa in legno dove si reca con Simona. Lei poco dopo decide di uscire. Entrambi, fischiano e urlano, tentando invano di richiamare l’attenzione del pastore, pensando fosse nelle vicinanze. Poco dopo un cane inizia ad abbaiare contro Simona, provocando l’arrivo di altri animali, che divenuti aggressivi accerchiano la ragazza, costringendola a fuggire in direzione opposta al rifugio. Il suo amico la perde di vista, sente solo le urla di aiuto, chiama le Forze dell’ordine, contatta i soccorsi e subito dopo allerta la madre di Simona e un’altra persona. Dopo circa un’ora l’arrivo dei carabinieri che trovano all’interno della chiesetta l’amico della ventenne e i militari iniziano a difendersi dai cani inferociti presenti in zona, al punto da dover sparare un colpo di pistola per allontanarli. Subito dopo iniziano le ricerche della ragazza, il cui corpo viene ritrovato dilaniato, ormai esanime tra gli alberi, morta “per lo “shock emorragico dovuto alle lesioni multiple patite e depezzamento con lacerazione degli arti inferiori, del capo e delle pelvi”.

L’esito dell’autopsia

La consulenza autoptica ha infatti  poi attestato che le lesioni e le lacerazioni di più parti del corpo della vittima erano inconfutabilmente “riconducibili ad un attacco multiplo da parte di animali di specie canina” e gli accertamenti di laboratorio esperiti dal Ris Carabinieri di Messina sulle “ciocche” di peli prelevate dagli esemplari catturati hanno permesso di appurare la presenza di sostanza ematica relativa ad profilo genotipico di sesso femminile perfettamente sovrapponibile a quello della giovane aggredita. I carabinieri si trovano nuovamente accerchiati dal branco e il comandante della Polizia locale spara tre colpi di pistola per farli andar via ed evitare ulteriori ferimenti. Verso le 18, durante le operazioni di recupero della salma nella pineta, arriva Rossomanno e riferisce di essersi recato sul posto con il preciso scopo di radunare il gregge per riportarli nella sua azienda agricola.

L’ovile abusivo

Gli investigatori vanno all’ovile ubicato a circa 150 metri dal luogo del ritrovamento del corpo senza vita di Simona, appurando la presenza di 13 pastori maremmano seduti a guardia del gregge di proprietà del pastore. Alcuni cani presentano macchie di sangue in corrispondenza della testa e del collo. Gli ulteriori accertamenti avrebbero consentito di stabilire che l’ovile era abusivo, realizzato in muratura e che non era stato eseguito l’ordine di demolizione emesso dal Comune di Satriano.

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