di Gabriella Passariello – Un tema di stretta attualità quello della separazione delle carriere, la cui legge di riforma costituzionale di iniziativa popolare è ferma in commissione Affari costituzionali. Un argomento ritenuto essenziale dalle Camere Penali italiane che a sostegno della loro battaglia hanno raccolto 70mila firme. Cosa comporta in concreto la separazione tra giudice e pm? Questa riforma potrebbe segnare la svolta per l’applicazione concreta del “giusto processo”, arrivando ad una parificazione non solo formale ma anche sostanziale tra accusa e difesa? Sono solo alcune delle domande rivolte al presidente della Camera penale di Crotone, Aldo Truncè, in un’intervista a tutto campo rilasciata a Calabria7.
“In Parlamento è in discussione la legge di riforma costituzionale di iniziativa popolare per la realizzazione della separazione delle carriere, promossa dall’Unione delle Camere Penali Italiane e sottoscritta da oltre 70mila cittadini italiani. Cosa prevede?”
“In Parlamento è in discussione la legge di riforma costituzionale di iniziativa popolare per la realizzazione della separazione delle carriere, promossa dall’Unione delle Camere Penali Italiane e sottoscritta da oltre 70mila cittadini italiani. Cosa prevede?”
La legge d’iniziativa popolare sulla riforma costituzionale per la separazione delle carriere che giace, ferma, in commissione Affari costituzionali, prevede l’esistenza di due distinti ordini giudiziari, quello giudicante e quello requirente, con concorsi di accesso autonomi e separati, e con due distinti ed autonomi Consigli Superiori della Magistratura, ai quali possono accedere anche avvocati e professori universitari. E’ prevista la possibilità, per avvocati e professori ordinari universitari di materie giuridiche, di far parte della magistratura giudicante con procedure stabilite dalla legge. Una volta distinti e separati gli ordini, non potrà più esserci la possibilità di migrazione da una funzione giudicante ad una requirente e viceversa.
“Ritiene attualmente rispettata la regola del giusto processo? O la separazione delle carriere potrebbe in qualche modo essere una “garanzia” per la concreta applicazione dell’articolo 111 della Costituzione?”
La mancata separazione, in primo luogo fisica, degli uffici della Procura della Repubblica, dalle cancellerie ed aule di udienza della magistratura giudicante è la prima anomalia di un processo penale che dovrebbe essere un processo in cui accusa e difesa compaiono eguali davanti al giudice. Il processo è amministrato e diretto da giudici che sono umani, che, in quanto tali portano con sé un coacervo di sensazioni, sentimenti ed esperienze. La forma mentis di un avvocato non potrà mai essere uguale a quella di un pubblico ministero, per la sovrastruttura ed il carico di esperienze che lo hanno formato e forgiato. Analogamente dovrebbe accadere per un giudice, che dovrebbe arrivare sempre “vergine” sullo scranno, senza aver mai esercitato la funzione inquirente e requirente del pubblico ministero. E, possibilmente, senza essersi mai confrontato, magari in una pausa caffè nel palazzo di giustizia, con i “colleghi” pm, su questioni tecnico giuridiche e temi che si propongono, frequentemente, in molti processi.
“Pm e avvocati sono parti processuali, almeno il diritto insegna questo. Di fatto però non nota delle discrasie? Penso per esempio al fatto che le indagini che riguardano un magistrato del distretto di Catanzaro, per competenza vadano a finire a Salerno, mentre quelle riguardanti un avvocato restano di competenza della Procura nel cui distretto il presunto reato è stato commesso… Cosa ne pensa?”
Accusa e difesa sono parti processuali che ancora non hanno piena parità di poteri e facoltà nel processo penale. Trovo comunque che sia corretto che la competenza a decidere in merito a reati commessi da magistrati segua regole di territorialità diverse rispetto ai procedimenti penali a carico di avvocati. Gli avvocati non esercitano funzioni statuali, e non hanno alcun rapporto di colleganza con i giudici che potrebbero ritrovarsi un giorno a giudicarli. Diverso è invece per il giudice che potrebbe trovarsi a giudicare il collega della stanza accanto: l’imparzialità formale deve essere tutelata, in questo caso, con le regole già esistenti.
“Ritiene che la difesa, parte del processo, con la separazione delle carriere possa assumere un ruolo più incisivo e determinante?”.
Se si volge lo sguardo al modello di giurisdizione tracciato nella Costituzione, ci si accorge che l’avvocatura non è neppure menzionata, mentre le disposizioni che riguardano la magistratura sono plurime. La magistratura italiana ha dissipato nel corso degli ultimi anni un patrimonio enorme di credibilità e una reputazione immensa, avallata anche dalla Carta Costituzionale, mentre l’avvocatura si è trovata da sola a combattere per la difesa del baluardo del garantismo e della legalità. Non sarà la sola separazione delle carriere a restituire determinatezza ed incisività al ruolo della difesa nel processo penale, ma questa costituisce comunque una tappa irrinunciabile per poter giungere ad una parità delle parti non solo formale, ma anche sostanziale nel processo penale. Lo scorso 24 giugno in Piazza Cavour, davanti alla Suprema Corte di Cassazione, l’Unione delle Camere Penali in una manifestazione pubblica dal tema “Separazione delle carriere e riforma della magistratura: se non ora, quando?”, ha inteso puntare ancora una volta i riflettori sulla crucialità di un tema che purtroppo è stato nuovamente bypassato, stavolta in un momento importantissimo per la riforma della giustizia penale italiana.
“Le attuali problematiche sulla giustizia, scaturite dal caso Palamara, potrebbero essere superabili con la separazione delle carriere?”
Il caso Palamara rappresenta una delle derive cui è giunta l’organizzazione della magistratura italiana. L’esercizio dell’associazionismo in magistratura ha radici risalenti ad oltre un secolo fa, ed ha ragioni nobili, perché alle prime rivendicazioni corporative di carattere più concreto, (sostanzialmente economico), si sono succedute quelle volte a tutelare l’indipendenza e l’autogoverno del potere giudiziario. Il problema nasce quando le forme di autogoverno si politicizzano, e si creano meccanismi perversi, che portano allo schieramento “imperativo” per auspicare avanzamenti di carriere, trasferimenti e promozioni. Non credo che la separazione delle carriere possa costituire una soluzione a questo sistema malato, almeno non l’unica soluzione. Come ho già detto il problema della separazione delle carriere è di tipo strutturale, e permea i suoi riflessi nel procedimento penale.
“La responsabilità civile dei magistrati deve essere applicata anche in termini di responsabilità soggettiva?”
La legge numero18 del 2015, che ha introdotto la responsabilità civile dello Stato per fatto del magistrato, ha previsto una responsabilità congiunta dello Stato e del magistrato, con possibilità tuttavia di chiamare a rispondere, nel caso di danno ingiusto derivante da un provvedimento giudiziario adottato con dolo, colpa grave o denegata giustizia, in via diretta soltanto lo Stato. E’ prevista la possibilità successiva di rivalsa dello Stato, nei confronti del magistrato qualora questi abbia agito con dolo o negligenza inescusabile. Ciò non introduce un criterio di responsabilità soggettiva del magistrato, ma espone il patrimonio del magistrato responsabile all’indiretta rifusione del danno, con un meccanismo che prevede un’azione del Presidente del Consiglio in una tempistica limitata. Direi che la procedura farraginosa e facoltativa di rivalsa, è ben lontana dall’esporre il magistrato ad un criterio di imputazione di responsabilità soggettiva.