(D.C.) – Sequestri, La trattativa Stato-‘Ndrangheta. Un libro di cui ci eravamo già occupati in una puntata di qualche tempo fa di ‘A microfono aperto…’ con protagonista l’autore: il giornalista e scrittore Filippo Veltri.
Lo stesso cronista, già direttore di Ansa Calabria e soprattutto inviato de l’Unità, che negli anni Ottanta e buona parte dei Novanta era sempre a caccia di preziose notizie sulle decine se non centinaia di rapimenti, alcuni più eclatanti di altri nel grande circo mediatico di allora in questo drammatico ambito, consumatisi in tutta Italia ma con destinazione finale la Calabria.
Lo stesso cronista, già direttore di Ansa Calabria e soprattutto inviato de l’Unità, che negli anni Ottanta e buona parte dei Novanta era sempre a caccia di preziose notizie sulle decine se non centinaia di rapimenti, alcuni più eclatanti di altri nel grande circo mediatico di allora in questo drammatico ambito, consumatisi in tutta Italia ma con destinazione finale la Calabria.
Il testo di Veltri è dunque una analitica e doviziosa raccolta di documenti e ieri pomeriggio è stato presentato nella libreria Ubik del quartiere marinaro di Catanzaro nell’ambito di una discussione condotta insieme a un altro opinionista, notista, saggista e intellettuale, del calibro di Bruno Gemelli. Durante la ricostruzione di alcuni dei fatti e delle storie narrati nel libro è venuto fuori come all’epoca vi fossero sequestri di serie A e B, a seconda se il rapito fosse un ricco personaggio (o un suo stretto congiunto) del Nord ovvero un professionista o imprenditore del Sud. Perché nel secondo caso l’attenzione scemava nettamente e il battage dell’informazione si riduceva di gran lunga.
Ma al di là di tale considerazione, la verità – è emerso durante l’interessante confronto – è che lo Stato si mostrò del tutto impreparato a fronteggiare una piaga del genere. Sarebbe infatti servita una capillare attività di intelligence, che invece cedette il passo a una forma improduttivamente repressiva. E intanto – mentre vi erano vittime eccellenti di prigionia ‘dell’Anonima calabrese’ quale ad esempio Cesare Casella, liberato dopo circa 750 giorni, anche grazie all’impegno incessante di sua madre, denominata Mamma Coraggio – un partito come la Lega registrava una ciclica impennata dei consensi all’insegna della ‘differenziazione e presa di distanze dell’evoluto Settentrione rispetto al barbaro Mezzogiorno’.
Comunque sia, prima della conclusione del dibattito sul libro, alcuni dei presenti hanno preso la parola portando contributi importanti come quelli di un ex alto ufficiale dell’Arma – in passato assegnato a servizi di contrasto all’odioso crimine di cui parliamo – e della figlia di una persona temporaneamente caduta nella mano dei banditi a Riace ma poi liberata.