Settimio Aloisio, il calabrese che per primo “scoprì” Diego Armando Maradona

aloisio Maradona di marzio

di Antonio Battaglia – Il dio del pallone se n’è andato per sempre. Diego era il calcio, il calcio era Diego Maradona. Si andava al San Paolo esclusivamente per vedere giocare lui, per vedergli toccare quella palla nel modo che solo un eletto avrebbe potuto fare. Sarebbe oltremodo superfluo ricominciare a parlare del suo sopraffino sinistro, dei suoi gol che sfidavano le leggi della fisica o della sua tecnica divina. Diego era un uomo, un artista, un dio. Ma chi aveva voluto veramente il calciatore più forte di sempre a Napoli? 

L’aiellese Aloisio e quelle telefonate a Di Marzio

L’aiellese Aloisio e quelle telefonate a Di Marzio

È il 1978 quando Cesar Luis Menotti, selezionatore della nazionale argentina che conquista la Coppa del mondo in casa, viene stregato da un diciassettenne di Lanus. Tale Diego Armando Maradona, al suo secondo anno da professionista con la maglia dell’Argentinos Juniors. Menotti lo inserisce nella lista dei quaranta preconvocati per il Mondiale, ma lo lascia fuori dai 22 che si laureeranno campioni del mondo nella finale del Monumental contro l’Olanda. 

In occasione della competizione internazionale, volano in Argentina Giovanni Trapattoni, Luigi Radice e Gianni Di Marzio. La voce dell’allora tecnico del Napoli è sempre carica di entusiasmo nel raccontare di quanto accadde in quell’estate. Dopo un paio di giorni dal suo arrivo a Buenos Aires, Di Marzio viene tempestato di telefonate da Settimio Aloisio, uno dei responsabili della sezione calcio della polisportiva Argentinos Juniors, che gli segnala il giovane talento di Lanus. Aloisio era un ingegnere di origini calabresi, precisamente di Aiello Calabro (CS), tifosissimo del Catanzaro e, per forza di cose, estimatore del Di Marzio che fino all’anno prima aveva allenato le Aquile in Serie A.

L’incontro decisivo

L’allenatore rimanda al mittente gli inviti più di una volta, fino a quando però Aloisio non lo raggiunge in hotel: bevono qualcosa assieme, chiacchierano, arriva l’intesa. Raggiungono un campo in terra battuta dove era programma un’amichevole, le due squadre erano pronte ma Diego non c’era. Troppa era la rabbia per non essere stato convocato al Mondiale. I due devono allora spostarsi a Villa Fiorito, residenza del giovane talento che solo dopo innumerevoli tentativi si convince a giocare l’amichevole. In un quarto d’ora, Diego sigla tre gol. Di Marzio è esterrefatto e corre negli spogliatoi per fargli firmare subito un contratto in bianco. Se lo accaparra per 220.000 dollari, 300 milioni di lire dell’epoca. L’Argentina vince il Mondiale, ma l’allora presidente del Napoli Ferlaino non ne vuole sapere. Preferisce i giocatori esperti, Maradona a dir suo è troppo giovane. 

Diego riuscirà ad arrivare in Campania solo sei anni dopo. Il Napoli lo acquisterà per 13 miliardi e mezzo di lire e grazie a lui riuscirà a vincere due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana e una Coppa Uefa. Un talento incredibile, cristallino, fuori da ogni immaginazione. E il primo brivido di presagio, incredibile scherzo del destino, lo ebbe proprio un calabrese.

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